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CASSE DI RISONANZA

“Alcune persone hanno casse di risonanza più grandi degli altri, possiedono una sensibilità diversa. Per gran parte della loro vita è difficile gestire la situazione, fanno più fatica della norma, se però imparano a sfruttarla bene, ecco che allora possono sprigionarsi delle cose magiche”.

Con queste parole la guida della mostra di Munch - che sono andata a visitare con la scuola - ha terminato il percorso della visita. Dopo circa un’ora e mezza di opere ricche di ombre e di angosce, ci siamo imbattuti in una notte stellata dell’artista. La pace. Vieni coinvolto completamente, stravolto, rapito da questo artista che non fa altro che rappresentare dolore e, alla fine, quando ti aspetti di sentire di qualche morte tragica e solitaria, scopri che alla fine della sua vita la pace l’ha trovata. La pace l’ha trovata. Devo essere completamente onesta: vedere un tipo di percorso simile (e non parlo della mostra, ma proprio del percorso emotivo di Munch) fa un certo effetto; mentirei se non dicessi che qualche lacrimuccia mi è scesa. Ma il discorso sulla cassa di risonanza è stato un regalo, una benedizione arrivata in un momento inaspettato. Munch passa tutta la sua vita a cercare di rielaborare il dolore, ripassa su certi episodi come un bambino che ricalca il disegno calcando con la matita, ché sembra che il foglio si stia per bucare. Però il foglio di Munch non si buca; le sue innumerevoli copie e studi dello stesso concetto (che mi sento pur sempre tenuta a dire che non vengono solo da una motivazione psicologica, bensì anche dal fatto che era un artista e voleva esprimere al meglio il concetto), che paiono non andare da nessuna parte, ad un certo punto finiscono. Il dolore consuma l’artista, pare conservarlo nel suo ventre, e lui ne soffre. Alcolizzato, in una relazione tossica, chiaramente depresso, ti aspetti che faccia la fine peggiore di tutte; non perché se lo meriti ma perché ci è sempre stato insegnato così. Se provi le emozioni in maniera acuta difficilmente sarai felice. Le persone sensibili sono sempre tristi. Credo che molti di noi, come Munch, abbiano vissuto la loro cassa di risonanza come un peso, come una condanna. È proprio per questo che il discorso finale della guida ha toccato così tanto non solo me, ma tutto il suo gruppo. Di norma noi adolescenti tendiamo a vivere la nostra emotività come un difetto, ma Munch ci insegna che invece può benissimo essere un punto di forza. Se l’artista non avesse mai accettato ed affrontato determinati suoi sentimenti, non solo non avremmo disposto di tanti suoi capolavori, ma non avrebbe probabilmente nemmeno mai potuto vedere un’uscita dalla sua situazione. Il suo lavoro di introspezione, invece, oltre ad averci donato i capolavori che tutti conosciamo, ci ha persino dato la capacità di trarre speranza dai momenti più bui; è riuscito a far nascere dei fiori da quel terreno paludoso che gli era stato donato.

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