Il Natale è ormai alle porte, quindi non potevamo certo fare a meno di intervistare Lei, signor Dickens. Innanzitutto, La ringrazio di essere qui.
Grazie a voi, mi fa sempre piacere raccontare storie, anche quella della mia vita, nonostante alcuni ricordi dolorosi.
Entriamo subito nel vivo della discussione, allora: molti La considerano il vero inventore del Natale. Secondo Lei, come mai il Suo nome è così strettamente legato alla festività che stiamo per celebrare?
Questa è una gran bella domanda. Per quanto sia, forse, un po’ esagerato affermare che io abbia inventato la festa del Natale, potremmo, ad onor del vero, dire che ho inventato lo spirito natalizio, ossia il modo di festeggiarlo. Ai miei tempi, infatti, nell’Inghilterra vittoriana, il Natale era celebrato in maniera molto sobria, esclusivamente come festività religiosa e i puritani non tolleravano eccessi ed influenze pagane. Normalmente si lavorava come tutti gli altri giorni dell’anno e una grossa fetta della popolazione, che viveva in condizioni disumane, non pensava certo a decorazioni o banchetti sontuosi.
Possiamo quindi dire che il Natale, come lo conosciamo noi oggi, ebbe inizio da un libro di un centinaio di pagine pubblicato il 19 dicembre del 1843, “A Christmas Carol”.
Beh, peccherei di falsa modestia se non le rispondessi di sì. Onestamente, mentre lo scrivevo, non immaginavo certo l’effetto che avrebbe generato nella società inglese dell’epoca. Infatti, molte delle tradizioni che oggi sono parte integrante dei festeggiamenti natalizi, non esistevano ancora o non esistevano più. Pensi, ad esempio, ai canti di Natale. Questa usanza, in realtà molto antica, si era diffusa nel Seicento ma col tempo era diventata fuori moda. Tuttavia, proprio nelle scene iniziali del mio racconto, incurante dell’opinione corrente, decisi di rappresentare un gruppo di cantori come se fosse un elemento intrinseco e immancabile della tradizione, sinonimo di allegria e felicità. D’altra parte, però, bisogna riconoscere che non tutti i meriti dell’atmosfera natalizia sono ascrivibili al sottoscritto. L’albero di Natale, per esempio, fu introdotto come simbolo della famiglia riunita davanti al focolare domestico dal principe Alberto di Savoia, consorte della regnante Regina Vittoria, che stava diffondendo in Inghilterra alcune tradizioni tipiche della Germania, sua terra d’origine. Anche se bisogna dire che la nuova usanza non ebbe molto successo fino a quando non venne pubblicato un mio racconto “L’albero di Natale”.
Tornando al suo racconto natalizio più celebre, quali furono le motivazioni che La condussero alla stesura di “Canto di Natale”?
Iniziai a scriverlo nell'ottobre dello stesso anno, spinto anche da difficoltà finanziarie. Nonostante diversi successi, come “Le avventure di Oliver Twist”, il mio ultimo romanzo non stava andando bene e con un quinto figlio in arrivo e alcuni debiti, l'incubo di tornare in una situazione di indigenza era dietro l'angolo. Oltre a questo, però, avevo un importante messaggio sociale da veicolare. All'inizio dell'anno avevo infatti letto un rapporto parlamentare riguardo al lavoro minorile, con drammatiche testimonianze di piccoli lavoratori sulle pessime condizioni di sicurezza, sui bassissimi salari e le giornate lavorative interminabili. Da qui nacque l'idea di scrivere “Un appello al popolo inglese per conto dei bambini poveri”. Ben presto, tuttavia, mi resi conto che avevo un mezzo decisamente più efficace per veicolare lo stesso messaggio e scrissi il racconto che leggete voi oggi.
Che raggiunse il suo scopo, direi! Ad ogni modo, torniamo al tema del lavoro minorile, che è così centrale nelle sue opere.
Sì, è uno degli argomenti che più mi sta a cuore, avendolo sperimentato in prima persona. Infatti, dopo un'infanzia trascorsa felicemente nel Kent, quando avevo dieci anni la mia famiglia si trasferì in un quartiere povero di Londra. Due anni dopo, mio padre fu imprigionato per debiti e i miei genitori mi costrinsero a lavorare in una fabbrica di lucido da scarpe. Tentai anche di fuggire, ma mia madre convinse il proprietario ad assumermi nuovamente. Un'esperienza terribile.
Che durò circa un anno, giusto?
Sì, poi, grazie all'eredità di sua madre, mio padre riuscì a pagare i debiti e fu scarcerato. Io venni mandato a scuola per un po’, ma a 15 anni fui costretto a smettere per lavorare presso un avvocato. Continuai però a studiare di notte imparando, tra l'altro, la stenografia. Questo mi permise di trovare lavoro come giornalista e cronista parlamentare. Nel 1833, iniziai a scrivere storie e, dopo i primi successi, nel 1836 mi dedicai esclusivamente ai romanzi.
E questo ci riporta al grandissimo successo del Suo “Canto di Natale”, la cui prima edizione era già esaurita dopo sette giorni.
E, tra l'altro, sortì l’effetto desiderato: quell'anno e i successivi aumentarono a dismisura le donazioni per i più poveri e furono tutti più felici. Perché, alla fine, il messaggio è proprio questo: essere generosi per far felici gli altri, ma soprattutto per portare gioia a noi stessi, come capirà il protagonista Ebenezer Scrooge.
E allora grazie, signor Dickens, per questo bellissimo monito di cui tutti abbiamo bisogno, soprattutto in questo momento dell'anno.
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