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CIÒ CHE POTREBBE ESSERE UN INFERNO OGGI, POTREBBE ESSERE UN PARADISO DOMANI

Aggiornamento: 2 giorni fa

In occasione del 15 marzo,   giornata contro i disturbi alimentari  (disagi molto comuni tra i giovani di cui non si parla mai abbastanza e  su cui è necessaria una sensibilizzazione maggiore) ,  ho deciso di intervistare Luna Pagnin, biologa nutrizionista e personal trainer, la quale ha pubblicato nel 2024 il suo primo libro Abbuffamore e ha vari profili social in cui tratta il tema dei DCA.


Potresti presentarti brevemente per i lettori che non ti conoscono?

Certo! Mi chiamo Luna Pagnin, in arte Spaziolunare, e con questo nome ho profili social su Instagram, TikTok, Youtube e anche un Podcast.

Ho 27 anni, di professione sono una biologa nutrizionista e personal trainer con approccio inclusivo al fitness consapevole. Ciò significa approcciarsi al movimento in una maniera completamente diversa da quella che viene solitamente proposta dai classici personal trainer,  quindi inclusiva nei confronti del peso, della diversità dei corpi e soprattutto andando a legarsi all’attività fisica e all’alimentazione come un piacere slegato da calorie, conti e bilance.


Come mai hai deciso di diventare una biologa nutrizionista e in che modo il tuo passato ha inciso su questa scelta?

Ho deciso di diventare biologa nutrizionista e di scrivere anche un libro riguardo ai disturbi del comportamento alimentare a seguito della mia esperienza vissuta tra il 2013 e il 2018, anni in cui ho sofferto di anoressia e binge eating, da cui ormai sono guarita completamente.

Nel 2020 ho aperto la mia attuale pagina Instagram in cui ho voluto portare un messaggio di speranza. 

Successivamente ho deciso di specializzarmi in nutrizione, prima di tutto per dare aiuto alle persone che non hanno mai trovato nella loro vita qualcuno che potesse accoglierle, e poi per dare delle certezze rispetto a tutto ciò che può provenire dalla diet culture, grassofobia e tutti i “valori” in cui siamo immersi, soprattutto data  la realtà dei fatti, ovvero che non esistono cibi giusti  o sbagliati  o “sgarro”.

Vorrei proprio riscrivere il concetto di nutrizione e di nutrizione inclusiva.


Al contrario di ciò che molti pensano, soffrire di un disturbo alimentare non è sinonimo di soffrire di anoressia. Infatti tali disturbi hanno numerose sfumature e forme, inoltre molto spesso colpiscono altri aspetti della vita della persona e non solo il cibo. Potresti dirci qualcosa di più a riguardo?

Assolutamente! Si parla molto spesso di anoressia, ma non si parla abbastanza di tutto il resto dei disturbi del comportamento alimentare.

Essi possono non vedersi per tutta la loro durata, poiché non è né un peso né un corpo a decretare un disturbo alimentare, quanto più invece i pensieri di una persona nei confronti di se stessa, del proprio fisico, del proprio valore, della bilancia… insomma, di tutti gli aspetti che vanno a costruire la vita di ognuno di noi.

Un’altra cosa fondamentale è il fatto che molto spesso si sottovaluta il disturbo del comportamento alimentare che è il più diffuso ma il meno diagnosticato, ovvero il binge eating, che porta con sé grande vergogna e quindi anche una difficoltà nel chiedere aiuto. 

Questa mancata richiesta  di aiuto evita che venga diagnosticato e, di conseguenza,  nega alla persona  di comprendere che non è lei il problema, quanto più quello che porta dentro, che la porta a riempire il suo corpo con cibo, attraverso le abbuffate, per colmare un vuoto.

Mi trovo molto spesso a sentir parlare di disturbi del comportamento alimentare in maniera molto futile, molto semplificata: c’è bisogno di capire, invece, che un disturbo del comportamento alimentare può essere stato l’unico modo che una persona ha trovato per affrontare una vita che sfuggiva al suo controllo, controllo  che ha ritrovato in quella  che può sembrare una gestione autonoma  del cibo e tutto ciò che comporta la sfera dell’alimentazione, per fare in modo di poter affrontare la propria quotidianità. 

Ciò ovviamente le toglie la socialità, la vita in tutto e per tutto e tutti quelli che sono i suoi interessi, fino a renderla una persona o che non prova sentimenti o che ha paura di provarli e che utilizza il proprio disturbo per far fronte a questo.


Che consiglio daresti a un adolescente che ha capito di soffrire di un DCA e vorrebbe iniziare un processo di guarigione?

Sicuramente per gli adolescenti rendersi conto di avere un problema nei confronti del cibo e del proprio corpo è un grandissimo atto di coraggio, e quindi bisogna dirsi che si è molto forti e molto valorosi ad ammetterlo, e soprattutto ad ammettere di avere bisogno di aiuto.

Sicuramente un primo passo è poterne parlare a casa, e non c’è un momento giusto o un modo semplice per dirlo, poiché varia molto in base alla situazione.

Nel momento in cui la persona prende coraggio e confessa  alla propria famiglia di non stare bene, si può iniziare un percorso di guarigione  che porti  ad avere una consapevolezza di sé come essere umani e non come numeri sulla bilancia o numeri di calorie da ingerire, dato che è importante ricordarsi che non si è né calcolatrici né bilance, ma esseri umani e molto sfaccettati.

D’altro canto, posso comprendere che non sempre ci può essere un’apertura dal punto di vista della famiglia, e in caso non ci fosse sicuramente potersi rivolgere ad uno sportello scolastico, ad un insegnante o ad un consultorio può essere un primo passo. Così facendo si possono ottenere più consapevolezze e aiuti, oppure si può anche chiedere online alle pagine specializzate in questo argomento, come possono essere la mia pagina o quella del  centro Lilac, il centro per i disturbi alimentari.


I social per gli individui affetti da un DCA, soprattutto adolescenti, possono essere un’arma a doppio taglio: potrebbero aggravare il malessere della persona, altri invece dare aiuto e supporto. Uno di questi certamente è il tuo, puoi spiegare che tipo di contenuti porti sui tuoi profili? 

Prima di tutto grazie per aver espresso della gentilezza e della bontà nei confronti del mio profilo.

E’ verissimo che i social possano essere un’arma a doppio taglio  e,sicuramente, il fatto di poter avere dei profili che possano aiutare e sentirsi più tranquilli nei confronti dell’alimentazione, dell’accettazione del proprio corpo, della neutralità di esso (e quindi intenderlo in una maniera differente da ciò che la società ci ha instaurato nella mente) è un grande aiuto.

I social  possono inoltre aiutare  a portare dei temi in maniera diversa: a parlare di disturbi alimentari senza includere una sola tipologia di corpo o un solo tipo di disturbo alimentare, e senza riportarlo magari ad altre ossessioni quali l’attività fisica o l'alimentazione iper controllata. Si può parlare di alimentazione,senza citare le calorie,  analizzando  le emozioni, perché è fondamentale poter collegare cibo ed emozioni, poiché tutti siamo dei “mangiatori emotivi”, nel senso che portiamo le emozioni con noi a tavola. 

Un’altra cosa essenziale è  proteggere la diversità del singolo, poiché ognuno di noi ha una salute che è diversa da quella di qualsiasi altra persona,  e questa salute equivale anche a bisogni differenti in termini alimentari, quindi anche ad incentivare le persone a non paragonare la propria nutrizione a quella di nessuno, soprattutto a quella che vedono online. Infatti,  è importante mettere in discussione determinati profili che puntano alla restrizione alimentare o a promuovere scelte alimentari non conformi a quelle che invece si sceglierebbero in autonomia (e che dunque porterebbero a sentirsi sbagliati in qualsiasi caso).  E’ importante cercare posti online dove non ci si senta sbagliati  ma accolti a 360°: infatti, un altro fattore da ricercare nei profili social è l’empatia.


È possibile, con il giusto aiuto, arrivare a una completa guarigione? Che messaggio vorresti lasciare ai ragazzi che non sono ancora usciti da un dca?

Assolutamente. E’ possibile al 110% guarire completamente ed essere sereni con il proprio corpo, con la propria fame ed alimentazione, con l’attività fisica e con tutto quello che è il proprio valore. 

Naturalmente non è un processo così semplice come può sembrare attraverso le mie parole, ma ha bisogno di un equipe multidisciplinare, quindi di un  percorso con degli psicologi, psicoterapeuti specializzati in disturbi alimentari e di nutrizionisti che però possano essere complici e competenti nei confronti di questo tema.

Ovviamente è importante anche  quello che è il supporto della famiglia, quindi fare della terapia di famiglia o comunque poter parlare liberamente ai propri genitori di questo. Se così non fosse, ci si può far  aiutare da  dei professionisti a  dialogare in maniera più sostenibile con i propri familiari.

Sicuramente, però, c’è la possibilità di arrivare a una completa guarigione e alla completa eliminazione di tutti quelli che sono i sintomi,  di poter vivere in maniera neutrale il proprio corpo, come un alleato nelle nostre giornate e di non sminuire la sua forza, di apprezzarlo per quello che fa e non solo per come appare.

Infatti, riguardo al nostro aspetto esteriore, tante volte ci sentiamo magari un po’ meglio, un po’ peggio:  tutti noi abbiamo delle giornate no, perciò bisogna anche capire che non è da quello che dipende il nostro valore.

Quello che voglio lasciare come messaggio ai giovani che non sono ancora usciti da un disturbo alimentare è che non siete soli, di ricordarsi che ciò che potrebbe essere un inferno oggi potrebbe essere un paradiso domani, la mia frase preferita in assoluto.

Soprattutto anche di chiedere aiuto e di scegliere la guarigione ogni giorno, nonostante le  difficoltà, poiché è un’azione per se stessi, è un’azione di bontà nei nostri confronti della quale ci si ringrazierà in  futuro. 

Ne posso essere una prova vivente, ma non soltanto io lo sono, bensì tutte le persone che ne sono uscite.



Articolo di Sofia Bartolini

 
 
 

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