I DOLORI DEL GIOVANE WERTHER
- Rossella Agostino Giammillari
- 3 ore fa
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Goethe: Suicidio, Libertà, Fede
Dalla rubrica: Gli shinigami che non mangiano mele
Di: Rossella Agostino Giammillari 3O
Non sono solita inserire premesse nei miei articoli, ma per questa volta la ritengo necessaria. Ebbene sì, sono tornata e ne sono molto felice. Le dinamiche sono cambiate, gli approcci sono cambiati e io sono disposta a riprendere in mano questo progetto e a divertirmi come prima. Per tutti coloro che leggeranno questo articolo, grazie: non è scontato avere dei lettori per così poco.
Di seguito, quindi, riporto una mia breve analisi che evidenzia in special modo dei temi di questo romanzo che ritengo essere molto interessanti da approfondire.
Di particolare importanza all’interno di questo romanzo è l’evoluzione del protagonista e del suo pensiero, della sua concezione della vita, della natura e dell’amore. Werther è un giovane ragazzo benestante che si allontana da sua madre e dai suoi conoscenti, quindi anche dal suo villaggio natale, per trasferirsi in campagna a Walheim. E’ un ragazzo con interessi riguardanti il disegno e le opere classiche tra cui L'Odissea di Omero e I Canti di Ossian di James Macpherson, opera che avrà una gran rilevanza nelle ultime pagine del romanzo. Egli scrive lettere al suo amico Guglielmo, all’inizio con molta costanza, poi col tempo sempre meno, alternando narrazioni di esperienze di vita a Walheim a sue personali riflessioni filosofiche e psicologiche.
Sopraffazione delle emozioni e suicidio come libertà
Il trasferimento al villaggio di Walheim viene visto da Werther come un nuovo inizio, un punto da cui ricominciare e un modo per riprendere in mano se stesso. Egli vuole ‘lasciare nel passato ciò che è passato e godersi il presente’. A Walheim dice di non riuscire più a disegnare, eppure si sente ‘un gran pittore’. In questo luogo vengono esaltate le sue emozioni e sin da subito si intuiscono tratti della sua personalità: Werther è un ragazzo che vive i sentimenti e le emozioni in maniera profonda, ne viene totalmente e completamente sopraffatto; viene guidato dal suo cuore e ‘sente di viziarlo, cedendo ad ogni suo capriccio’. Questa sopraffazione conduce quindi a determinati stati d’animo e le sue azioni ne sono conseguenze: sia all’inizio quando si sente pieno di vita e vede davanti a sé un nuovo capitolo della storia, sia alla fine quando non vede altra via d’uscita che il suicidio. Il tema del suicidio come libertà dello spirito e scarcerazione dell’animo dalla prigione del corpo viene accennato già verso metà romanzo durante una delle sue discussioni con Alberto, il fidanzato di Carlotta. E’ una premonizione, diciamo, di quella che sarà la sorte di Werther: egli si immedesima e sente di ‘poter comprendere’ le motivazioni di tutti coloro che sono condotti a questa sorte; cercando, perciò, di convincere Alberto, ma invano.
“[...] E in questo caso hai per lo meno il torto di paragonare il suicidio di cui ora è questione, con delle grandi gesta, mentre esso non può essere considerato che come un debolezza. [...]” “Tu lo chiami una debolezza? [...] E, mio caro, se lo sforzo costituisce la forza, perché lo sforzo supremo dovrebbe essere il contrario? [...]”
L’importanza del divino e dell’amore
Werther ha molta fede in Dio, fede che con il passare del tempo cresce sempre di più. Werther è solo, vive in uno stato di solitudine angosciante, anche se lui stesso non se ne rende conto subito. Nonostante sia circondato dalla gente del villaggio e dai fratelli di Carlotta, il suo animo è solo e non è affine a nessun altro se non a quello della ragazza. Ed è principalmente perchè sente un’affinità con lei che sviluppa un amore così profondo ed estremo verso la donna. Purtroppo, non essendo il suo amore ricambiato come lui spera, Werther si affida a Dio, riconoscendo a lui tutti i miracoli e le disgrazie della sua vita. Verso la fine del romanzo, quando ormai Carlotta non è che qualcuno di effettivamente irraggiungibile (si sposa, di fatto), egli si domanda perché Dio non gli ha potuto concede re qualcosa di così semplice e di così puro, qualcosa che sarebbe tanto naturale quanto è onesto e libero il suo sentimento. L'amore di Werther nei confronti di Carlotta non è mai rinnegato e, anche se a questo è dovuta la sua fine e la sua miseria, è allo stesso tempo ciò che ha dato senso alla sua vita.
“Guglielmo, che sarebbe per il nostro cuore un mondo senza amore? Quello che è una lanterna magica senza la luce”
Non si dà spiegazione del perché Dio non gli conceda la ‘felicità’ e sente che la Sua grandezza è ineffabile. È quasi come se, alla fine, egli riconoscesse di non essere importante agli occhi di Dio in quanto è solamente uno dei tanti uomini che, nonostante siano disposti a tutto in Suo nome, non ottengono ciò che sperano. Finisce col credere che Dio ponga fine alle sue miserie solamente permettendogli di suicidarsi. Mi viene spontanea un’analogia, un paragone tra la grandezza di Dio che ‘non si cura’ di ogni suo fedele con ciò che Werther esprime a proposito della vicenda degli alberi di noci. In un primo momento, Werther sostiene che vorrebbe essere al potere, vorrebbe essere un principe per poter decidere da sè la sorte di questi alberi (che non sono niente rispetto a tutti gli alberi del villaggio) e salvarli. Ma poi si rende conto che, se egli fosse un principe, alla fine non gli importerebbe più di tanto di quei due alberi da noce, e lascerebbe che venissero abbattuti così come lo stesso Werther viene ‘abbattuto’ dal suicidio.
“Già, se fossi principe che m’importerebbe degli alberi del mio paese?”
La ricerca della libertà, della felicità e l’incomprensione tra gli uomini
E’ spesso citata l’espressione ‘uomo libero’, uomo che cerca la felicità e la libertà.
Werther nota come, spesso, gli uomini lavorino solo per sopravvivere e come nei pochi momenti di svago che rimangono essi si tormentino per cercare ogni mezzo per essere liberi. Si sorprende e riconosce l’ironia del destino degli uomini, destinati ad essere ‘incompresi’, come lui spesso sostiene. Uomini che ricercano la felicità, la libertà, che compiono viaggi di speranza, che sognano terre lontane, ma che alla fine scoprono che la sorgente di ogni bene è ciò che hanno abbandonato in primo luogo: accadrà esattamente così a Werther, che abbandonerà Walheim e finirà col ritornarci, non essendo capace di viaggiare e peregrinare oltre.
“Così il più irrequieto vagabondo desidera infine la sua patria e trova nella sua capanna, nel senso della sua sposa, nella schiera dei suoi bambini, nel lavoro compiuto per loro, la gioia che invano ha cercato nel lontano mondo”.
Werther non ha una visione ottimistica della sorte dell’uomo: in generale, è convinto che la vera felicità possa essere raggiunta solamente tramite una proiezione di perfezione sugli altri. In altre parole lui sostiene che un uomo, per essere felice, debba riconoscere la parte di sé 'che gli manca’ negli altri e sapersi proiettare a sua volta in queste persone. Solo così, con una piena consapevolezza di se stesso e con la presenza di una seconda persona, l’uomo può essere felice.
Per far un esempio, si potrebbe pensare a come Werther, alla fine, si rispecchi nei personaggi dei Canti di Ossian e proietti il tutto su Carlotta. L’unica differenza è che, al posto di portare alla felicità, tutto ciò causa uno sfaldamento che conduce al suicidio. Ciò però, se letto con la chiave di analisi relativa al primo paragrafo, è forse considerabile una felicità eterna per Werther.
L’uomo, secondo Werther, ha questo incessante desiderio di essere libero, di conoscersi, ma è incatenato alle abitudini, viste come un ‘carcere’; l’uomo si convince di poter abbandonare questa prigione quando egli desidera, ma nel profondo sa che gli è molto difficile. Solo una volta liberato e dopo aver svolto i suoi viaggi di 'peregrinazione e redenzione’ egli si accorge, o è convinto di accorgersi, di che cosa sia la vera libertà: il non abbandonare le proprie idee, le proprie ‘opere’ e, lentamente, continuare a perseguirle, così da trovarsi al passo con tutti gli altri, pienamente consci di ciò che si sta facendo e del perché lo si sta facendo. Il tutto, però,senza sperare invano in una libertà utopistica.
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