LA CREATIVITà RIVOLUZIONARIA NON è QUELLA CHE FA CANTARE L’UCCELLO IN GABBIA
- Serena Tominetti
- 11 feb
- Tempo di lettura: 2 min
“Mentre nella società borghese la funzione del teatro è quella di tramandare l’esempio di un comportamento creativo e significativo in contrapposizione con la realtà che è ripetitiva e insulsa, nella società rivoluzionata è la realtà stessa che diventa un luogo di una creazione permanente” - Mario Perniola.
Il concetto di arte e di fare arte è stato oggetto di profonde riflessioni negli ultimi cento anni. L'individuo venne alienato dall'arte quando essa fu vittima della museificazione, che, trasformando l'opera in reliquia, fece perdere all’arte la funzione di espressione dell'esperienza umana. Di conseguenza l’opera divenne prodotto di consumo.
Le avanguardie dissero “basta!”: l'arte era morta, e la fecero fatta risorgere.
L’individuo divenne partecipe dell’opera d’arte, spezzando così il processo spettatore - spettacolo.
Credo che di queste avanguardie ci resti ben poco, sia perché anch’esse furono museificate, sia perché ciò che ci propina l’ideologia dominante degli ultimi cento anni riguardo ai movimenti artistici è un tipo di arte antiborghese che divenne borghese a sua volta, in quanto la base su cui si costruiva era la percezione borghese dell’arte.
Perciò, quando è che si può dire che un artista è un bravo artista? Una risposta ce la suggerisce Il grande freddo (1978) diretto da Alberto Grifi in collaborazione con l’amico e artista Giordano Falzoni. Grifi fu uno degli avanguardisti cinematografici italiani più importanti e influenti; i suoi film, sempre di stampo politico, spaziano dai cortometraggi di avanguardia fino alla documentaristica sulla lotta di classe, dentro e fuori dai centri sociali milanesi.
In questo cortometraggio vengono affrontati, in maniera più o meno ironica, temi quali la cristallizzazione dell’arte, la borghesizzazione di essa, i processi creativi dell’artista e ciò che l’arte rappresenta per lui.
Assodato il fatto che ciò che è importante è il processo creativo e non l’opera, il regista fa una serie di considerazioni che ritengo di grande importanza: ogni volta che si rompe con una corrente artistica, se ne istituisce un’altra senza cambiare la realtà. Il Dada non voleva una vita bella, ma una vita autentica. La creatività rivoluzionaria non è quella che fa cantare l’uccello in gabbia ma è quella per la quale l’uccello, la gabbia, la rompe.
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