top of page

In fondo anche il Grinch è riuscito ad accogliere nella sua vita la piccola Cindy

Odessa Cionci Torriero

Qualche settimana fa c’è stata una mostra in aula magna dal titolo “Non come ma quello. La sorpresa della gratuità” a cura di Famiglie per l’Accoglienza. Dopo averla visitata, la prof ci ha chiesto di scrivere un testo in cui spieghiamo cosa è per noi l’accoglienza, quale opera rappresenta a pieno questo tema dal nostro punto di vista e quale meno. Siccome il tema mi sta molto a cuore, ho voglia di condividerlo con voi. Eccolo qui. “L'accoglienza è un concetto che si riferisce all'atto di ricevere qualcuno in modo caloroso, aperto e amichevole. Può manifestarsi in vari contesti, come in una casa, in un luogo di lavoro, in una comunità o in un ambiente sociale. Essere accolti significa essere ricevuti con gentilezza, rispetto e disponibilità da parte degli altri.Accogliere qualcuno implica creare un ambiente che faccia sentire la persona benvenuta, accettata e supportata. Questo può includere gesti concreti come offrire ospitalità, mostrare interesse, ascoltare attentamente e mostrare empatia. L'accoglienza può anche coinvolgere la creazione di un clima di fiducia e inclusione, dove le differenze sono rispettate e celebrate.In un contesto più ampio, l'accoglienza può anche essere intesa come una dimensione culturale o sociale, dove le società o le comunità si sforzano di essere aperte e inclusive verso individui provenienti da diverse culture, etnie o background.In sintesi, essere accolti o accogliere qualcuno significa creare un ambiente che favorisca il senso di appartenenza, rispetto reciproco e connessione umana.”Questo è quello che mi ha risposto l’intelligenza artificiale quando ho fatto la domanda: cos’è l’accoglienza e cosa significa accogliere qualcuno?Gli artisti contattati da Famiglie per l’Accoglienza dovevano fare proprio questo: rispondere a quella domanda attraverso l’arte. Mi sono piaciute molte opere, ma le fotografie non mi hanno fatto capire quello che in realtà volevano esprimere i fotografi e anche leggendo il titolo, i miei dubbi non si sono chiariti.Avvolti da una luce piena di vita mi fa solo pensare ad una famiglia, non mi fa pensare all’accoglienza, o almeno non subito. Creare una famiglia richiede comunque la capacità di accogliere una nuova vita, ma, secondo me, questo concetto non lo esprime al meglio. L’osservatore può distaccarsi dall'argomento che lega la mostra e il titolo è fuorviante.La fotografia di Marina Lorusso ha già un significato più chiaro. Il titolo coincide con la spiegazione della fotografia, ma c’è qualcosa che non mi fa pensare subito all’accoglienza. Forse è la posa, l’espressione del bambino o magari sono i colori in bianco e nero che non mi convincono. La storia dietro alla fotografia, però, è molto bella e più chiara rispetto a quella dell'altra fotografia.Per me l’accoglienza è qualcosa che viene da sé, è qualcosa che ti rende partecipe della vita, propria e di altri. Perché per accogliere ci vogliono almeno due persone, non si può accogliere da soli. C’è bisogno di essere (almeno) in due, c’è bisogno di una risposta e c’è bisogno di compromessi. Per me l’accoglienza è quotidianità perché non è vero che nella vita possiamo fare tutto da soli, che la solitudine è un modo per diventare indipendenti o più consapevoli. All’interno di una giornata, anche la più monotona o semplice, ci sono mille opportunità di accogliere qualcuno. Lo si fa anche involontariamente. Ad esempio, da novembre, io e le mie vicine di banco preferiamo passare l’intervallo e i minuti prima dell’inizio delle lezioni, fuori dalla classe. Questo all’inizio era un modo per fare amicizia anche con altre persone che magari passavano di lì, ma poi è diventato altro. Ormai prima delle 08:05 ci ritroviamo alla scrivania della bidella, io e coloro che sono in anticipo rispetto al solito. All’inizio eravamo solo io e Alessia (Shaini è sempre in ritardo), ma ora siamo forse più di 5 persone. Abbiamo proprio accolto tutti coloro che magari se ne stavano da soli in classe per un quarto d’ora ed ora chiacchieriamo tutti insieme per passare il tempo. Io arrivo sempre in anticipo e sapere che poi non me ne devo stare da sola ad aspettare gli altri perché c’è sempre qualcuno con cui chiacchierare, è molto confortante. In questo caso l’accoglienza, un po’ inaspettata, è diventata un’amicizia. Accogliere è qualcosa di concreto, non astratto come pensano in molti. Ci si accorge di ciò, solo quando veniamo accolti. Con tutte le incertezze e le paure, noi accettiamo di entrare tra le braccia di qualcuno per essere in qualche modo aiutati. Ci fidiamo. Però all’accoglienza possiamo anche dire di no e forse questa è la parte più dura: dire di no a qualcuno che effettivamente si stava sporgendo verso di noi. Non è quello che ci si aspetta normalmente e non è quello che ci si augura, ma ci possono essere mille motivi per farlo. Magari ci accoglie qualcuno che non capisce realmente i nostri bisogni oppure qualcuno che non può aiutarci. Non è sempre colpa di chi accoglie però, anche chi ha bisogno di una mano può, in qualche modo, autosabotarsi. Come quando si ha un problema e si è convinti di potercela fare da soli. Io penso che per la maggior parte delle volte non sia così: nella vita non si può stare da soli. Qualsiasi cosa che facciamo, qualsiasi azione, implica un’azione da parte di un’altra persona, quindi non si può fare tutto da soli. Quando veniamo accolti, c’è sempre una sensazione di calore. Non dico di calore materno, ma un calore di affetto che cambia da persona a persona. Io, quest'estate, sono stata accolta da una signora che io chiamo Susy (anche se in realtà si chiama Susana). Lei è una donna argentina di ormai una cinquantina di anni. Vive ad Alicante, in Spagna, e non lavora molto se non d’inverno facendo le pulizie al centro commerciale. Ha due figli, che però vivono lontano, e ha una casa enorme in cui ospita studenti da tutto il mondo. Ho vissuto con lei ben 3 settimane e mi ha accolta subito. I primi giorni ero molto imbarazzata, un po’ perché era la mia prima volta all’estero da sola, ma anche perché sono arrivata in un momento di caos nella sua casa: c’erano troppe persone e poche stanze. Susy mi ha fatto addirittura dormire nella sua stanza fino a che una ragazza francese non se n’era andata. Quando parlavo dei compromessi intendevo questo: Susy mi ha accolta e si è avvicinata a me e alle mie esigenze, io dovevo seguire delle semplici regole e aiutarla il più possibile. Il caos poi è aumentato perché, intanto che la casa si svuotava di francesi e olandesi, lei ha dovuto fare un'operazione chirurgica che l’ha distrutta fisicamente: era sempre stanca e non riusciva a fare molto. Per fortuna, erano arrivate due ragazze italiane e ci siamo organizzate per aiutarla. Come lei aveva accolto noi, noi dovevamo in qualche modo ricambiare la gentilezza. Susy è come se avesse fatto dell’accoglienza, un vero e proprio lavoro. Ma questo lavoro non è adatto a tutti. Quando sono andata in stage l’anno scorso con la classe, io e una mia amica ci siamo ritrovate con una strana famiglia tedesca (e se dico strana lo intendo davvero: non capivamo bene nemmeno le varie parentele). La signora che ci ha aperto le porte della sua casa per una settimana, non ci ha davvero accolte. Non ci parlava molto, la colazione la facevamo da sole e a cena nessuno ci interpellava. Il primo giorno pensavamo che dovevamo ancora ambientarci, ma dopo abbiamo capito che la signora Heidi era proprio fatta così. Non ci ha accolte quando era questo il suo lavoro e noi non capivamo il vero motivo. All’inizio pensavamo che fosse per qualcosa che avevamo fatto, infatti le avevamo portato un regalino, ma non è cambiato nulla. È stata una settimana d’inferno e questo mi ha fatto capire che non tutti sono portati ad accogliere. Uno degli esempi più belli di accoglienza lo fanno i genitori: accolgono una nuova creatura con un pacchetto di responsabilità enorme. Sono coraggiosi e sanno che verrà tutto ripagato vedendo il proprio figlio crescere sempre di più. L’accoglienza più bella dal mio punto di vista, però, è quella inaspettata. Magari verso una persona che conosci poco o che addirittura non conosci. Ti apri, vulnerabile, allo sconosciuto. Ti fidi mostrandoti aperto a una persona che magari aveva bisogno proprio di braccia in cui sentirsi al sicuro. Le braccia e gli abbracci sono forse il primo simbolo che ci viene in mente quando parliamo di accoglienza, ma non esistono solo quelli. Si può accogliere con un sorriso, con una mano o con le orecchie, quindi ascoltando l’altra persona. Non è scontato, ma forse è il più semplice modo per accogliere qualcuno.Accogliere non è facile; soprattutto essere accolti non è facile. La maggior parte delle volte che vorremmo essere accolti è quando ci sentiamo soli e abbiamo bisogno di aiuto. Magari ci sentiamo nel buio pesto o nella selva oscura come Dante e cerchiamo una luce e qualcuno che ci accolga per darci una mano. Per questo il dipinto «Solo colui che ha provato l’estremo dolore è atto a gustare la più grande felicità» è il mio preferito. Corrisponde al bisogno dell’accoglienza perché essa è rappresentata col colore bianco sullo sfondo. Nel cielo c’è solo una stella che spicca nel cielo scuro e nuvoloso. Però se ci pensiamo bene è proprio grazie alla luce che ci rendiamo conto che esiste il buio, è proprio grazie alla luce della stella e della luna che noi capiamo che il paesaggio è scuro; se non ci fossero, il quadro sarebbe tutto nero. Il titolo non lo vedo molto distante dalla mia visione dell’opera, ma io l’avrei chiamato “Bianco” o qualcosa del genere. Quando qualcuno vede un’opera così scura, non si aspetta questo titolo: “Bianco” è inaspettato come l’accoglienza più bella secondo il mio punto di vista.Il pezzo jazz di Maurizio Carugno mi ha stregata. Il jazz mi è sempre piaciuto, sin da piccola, semplicemente perché non ha regole. Si inizia a suonare qualcosa e poi non si sa dove si andrà a finire. Il jazz è come fare l'interrail senza organizzarlo prima: prendi un treno per un luogo, ma non sai dove sarai una settimana dopo. È caotico, ma allo stesso tempo avvolgente. Ti accoglie in una musica senza fine, come in una spirale. Ti senti come Dorothy del Mago di Oz all’interno del tornado, che in questo caso è fatto di musica che ti avvolge senza bloccarti. Non penso che in molti sappiano raccontare come accolgano una persona, per questo il titolo della mostra lo trovo azzeccatissimo. Gli artisti hanno rappresentato cosa è per loro l’accoglienza in sé, non come viene fatta. Questo fa anche pensare all’accoglienza che non facciamo di proposito, che succede e basta. Oppure all’accoglienza che siamo un po’ costretti a fare, ad esempio quando iniziamo la scuola il primo anno e conosciamo i nuovi compagni, oppure quando in famiglia arriva un fratellino o una sorellina. L’accoglienza si fa e basta, ognuno nel proprio modo, ma ogni giorno, si accoglie qualcuno. È difficile, ma estremamente gratificante e poi, pensiamoci, in fondo anche il Grinch è riuscito ad accogliere nella sua vita la piccola Cindy…

0 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

PLAZER

Comments

Rated 0 out of 5 stars.
No ratings yet

Add a rating
bottom of page