Ti pavoneggi in
un’armatura di piume,
come fossi Nike, alata;
ma le tue radici affondano
nelle acque torbide di Narciso,
torbide perché colme del dolore
che strappi e raccogli
da ogni tua vittima.
Non trionfi, ma ti specchi:
è nei limpidi frammenti altrui
che ritrovi il tuo volto,
quel riflesso che ami con l’avidità
di chi confonde perdita e conquista.
La vittoria non è tua.
È una preda che azzanni,
rubando e soffocando il respiro
di chi la vive nell’amore del giorno.
Amore, ma amore inteso come
Philia.
Com’è possibile parlarne,
quand’ella stessa vien
diramata come follia?
Tra le mani dell’amatore
si cade in una trappola di fili,
come fosse una Moira,
pronto a tagliare il prossimo:
chiamatelo Atropo.
Facile credere alle parole giuste
quando sono armate
di una missione velenosa.
Ma ciò che semini, raccoglierai.
Attento però a non farti spennare,
Nike, delle tue portentose ali,
che avrebbero potuto salvarti
dall’amarezza che coltivi,
e dal male che accarezzi,
lo stesso che ti scalda la notte
e che lasci dormiente nel buio,
volando verso l’abbraccio del bene.
Narciso, Nike, Atropo,
o qualsiasi altro
Dio tu non sia,
sappi che l’onnipotenza
non ti appartiene.
Benvenuto nel gioco,
hai già i piedi impiantati
nella scacchiera, pedina.
Crediti vincitore, ma sappi che
si sente già riecheggiare
la risata della tua caduta,
mossa dal nemico amato.
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