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MILLE VOLTI

Mirea Longu

Ti pavoneggi in

un’armatura di piume,

come fossi Nike, alata;

ma le tue radici affondano

nelle acque torbide di Narciso,

torbide perché colme del dolore

che strappi e raccogli 

da ogni tua vittima.


Non trionfi, ma ti specchi:

è nei limpidi frammenti altrui

che ritrovi il tuo volto,

quel riflesso che ami con l’avidità

di chi confonde perdita e conquista.


La vittoria non è tua.

È una preda che azzanni,

rubando e soffocando il respiro

di chi la vive nell’amore del giorno.


Amore, ma amore inteso come

Philia.

Com’è possibile parlarne,

quand’ella stessa vien

diramata come follia?


Tra le mani dell’amatore

si cade in una trappola di fili, 

come fosse una Moira, 

pronto a tagliare il prossimo:

chiamatelo Atropo.

Facile credere alle parole giuste

quando sono armate

di una missione velenosa.


Ma ciò che semini, raccoglierai.

Attento però a non farti spennare, 

Nike, delle tue portentose ali, 

che avrebbero potuto salvarti

dall’amarezza che coltivi,

e dal male che accarezzi,

lo stesso che ti scalda la notte

e che lasci dormiente nel buio,

volando verso l’abbraccio del bene.


Narciso, Nike, Atropo,

o qualsiasi altro 

Dio tu non sia,

sappi che l’onnipotenza 

non ti appartiene.

Benvenuto nel gioco,

hai già i piedi impiantati 

nella scacchiera, pedina.

Crediti vincitore, ma sappi che 

si sente già riecheggiare

la risata della tua caduta, 

mossa dal nemico amato.

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