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“LO AVEVO LASCIATO DORMIRE TRANQUILLO”

Greta Arrigo

Sono le 8.30 del mattino e a Cogne, paesino in Val d’Aosta, l’aria è gelida: la neve ricopre i bordi delle strade, da poco spalate dallo spazzaneve, gli alberi sono coperti da un manto bianco che luccica sotto la fioca luce del sole appena sorto, nelle case a dare un po’ di sollievo dalle basse temperature invernali ci sono i termosifoni, coperti da panni che devono ancora finire di asciugarsi. Nel silenzio più profondo di una semplice mattina come tutte le altre squilla un telefono al 118.

Buongiorno a tutti, cari lettori! Per chi non mi conoscesse mi chiamo Greta e sono un'appassionata di True Crime, nella mia rubrica porto ogni mese una storia nuova che ha stravolto la vita di qualche italiano. Oggi vi scrivo di una vicenda conosciuta, ma soprattutto odiata da molti, un caso che ha fatto la storia. Preparatevi a leggere il tragico racconto del delitto di Cogne.

È  una signora, urla disperata, non si capisce bene cosa dica. Spiega, piangendo, che ha appena accompagnato il figlio grande a prendere l’autobus per la scuola, lasciando il figlio minore a casa da solo addormentato. È Anna Maria Franzoni e chiama da una villetta familiare a Cogne, dice che dopo aver preparato la colazione in cucina, ha trovato il piccolo che non respira bene e ha convulsioni improvvise. La donna è visibilmente sconvolta, ma i soccorritori comprendono la gravità e l’assurdità della situazione solo al loro arrivo alla villa: il povero bambino di soli 3 anni giace sul letto dei genitori senza vita, ha il cranio frantumato e i cuscini accanto a lui sono coperti da grandi macchie di sangue del quale però non ci sono tracce al di fuori della camera da letto, al contempo il corpicino del bambino sembra riposare in una posizione tranquilla sotto il piumone tirato fin sul petto, nessuna porta o finestra presenta segni di effrazione e la casa è immersa nell’ordine.

Mentre la polizia scientifica analizza la scena del crimine i carabinieri interrogano Anna Maria che afferma di non aver sentito alcun rumore, di non aver visto nulla di sospetto e di aver trovato il bambino in quello stato e aver subito pensato a un malore, ma le condizioni in cui giace il piccolo Lorenzo mostrano un quadro totalmente diverso da quello descritto dalla donna. Samuele muore a seguito di 17 pesanti colpi inflitti nel suo piccolo cranio, ciò presuppone un assassino che, però, non avrebbe mai avuto il tempo di agire con così tanta aggressività nel poco tempo tra il rientro della donna e la preparazione della colazione in cucina, senza lasciare segni di intrusione e senza fare rumore. Nonostante la dichiarazione della donna di non aver mai colpito suo figlio, la Franzoni diventa così il primo sospettato di questo caso.

A dare un punto di svolta alla storia è il ritrovamento di una delle principali prove inconfutabili della colpevolezza della trentenne: il pigiama da lei indossato la mattina dell’accaduto. Esso presenta infatti macchie di sangue sulle maniche e specialmente nella parte inferiore, giustificate dalla madre come dovute dal suo soccorrere il figlio, ma le perizie parlano chiaro: hanno forma e colore che sottolineano la vicinanza alla fonte. La donna deve pertanto essere presente nel momento in cui il bambino subisce l’aggressione, questa evidenza è una dei punti focali per l’indagine che dichiara la donna colpevole dell’omicidio del figlio essendo l’unica persona presente in casa insieme a lui.

Il 15 febbraio 2002, dopo sole due settimane dalla morte di Samuele, Anna Maria Franzoni viene arrestata con l’accusa di omicidio volontario. La donna continua a dichiararsi innocente, nonostante l’indagine abbia portato alla scoperta di numerose prove contro di lei; il processo viene dunque fissato qualche mese dopo il suo arresto e si conclude con una sentenza di colpevolezza che le commina una pena di 30 anni di reclusione nel carcere femminile di Torino.

Nel 2011 la sua pena viene ridotta a 16 anni di reclusione con la possibilità di lavorare all’esterno del carcere, ma nel 2014 la donna viene scarcerata per buona condotta. Ad oggi la Franzoni conduce la sua vita in un paesino dell'Appennino bolognese con suo marito Stefano Lorenzi, gestendo insieme l’agriturismo di famiglia.

Il delitto di Cogne è uno dei principali casi di cronaca nera che ha alimentato una vasta attenzione mediatica, portando il paese a schierarsi per l’innocenza della madre o per la sua colpevolezza. Il caso ha pertanto avuto un impatto profondo e molto duraturo su molti aspetti della società, portando a riflessioni morali e legali.

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