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RADICALIZZAZIONE CICLICA

Francesco De Amici

È sempre più palpabile la tensione

causata da una radicalizzazione delle

masse sempre più acuta: i partiti di

centro-destra si spostano agli estremi e,

quelli di sinistra, non mancano di fare

altrettanto (parlando in generale, che sia

chiaro).

Ma vi siete mai chiesti il perché di questi

spostamenti verso gli estremi? E,

soprattutto, sono qualcosa di

temporaneo?

Si è visto come nella storia, in numerose

occasioni, i sentimenti politici di

estremismo sono nati in momenti critici,

durante i quali le masse non si sentivano

riconosciute dai governi formati da

genti spesso provenienti da élite

economico-politiche o quant’altro; a

causa di queste mancanze di rispetto, il

popolo poi ricorreva a manifestazioni

spesso violente, rivoluzioni, prese di

potere, colpi di stato e così via.

Penso che la maggior parte della gente

abbia sentito dire, anche per caso, sui

social la frase in inglese “Hard times

make strong men, strong men make

good times, good times make weak men

and weak men make hard times”, ciò

implica una certa ciclicità di questi

avvenimenti polarizzanti e, dunque,

sarebbe corretto vedere, per lo meno nel

limite dell’ultimo secolo, se questa

argomentazione sia in grado di reggere

un esempio tanto celebre come il ‘900: il

secolo scorso, infatti, si avvia con una

popolazione in declino che presta poca

cura alle generazioni giovani non

neonate (le stesse che verranno decimate

dalla 1a guerra mondiale), oltre al fatto

che l’aria è talmente pesante in Europa

che si fa fatica a respirare. Nel 1914,

scoppia il primo conflitto: nell’arco di

quattro anni muoiono 19,5 milioni di

persone tra civili e militari, un numero

che verrà drasticamente incrementato

dalla grande depressione, aggiungendo

altri 10 milioni di decessi. Dunque, si

vede passare un periodo a dir poco duro

e buio nella storia del genere umano che


segna il primo blocco del detto citato in

precedenza.

Il secondo decorre verso l’inizio degli

anni ‘30 con l’elezione del governo

nazional-socialista in Germania del ‘33

e il successivo incendio al Reichstag,

circostanze che porteranno ad un

riconoscimento internazionale del

bisogno di solidarietà, unione e forza. 2

settembre 1939: gli alleati dichiarano

guerra a Hitler. In sei anni altri milioni

di perdite di vite (circa 100 milioni,

contando anche quelle civili) si

aggiunsero ad un valore già straziante.

1945: il secondo blocco del nostro detto

si conclude con il termine del secondo

conflitto, portando i tanto aspettati

“Good times”, che dureranno fino al

1975, un periodo lungo tanto da

meritare di esser denominato “I gloriosi

trenta”.

Il quarto e ultimo capitolo decollerà

proprio nel 1975, con le economie

mondiali ormai incapaci di crescere,

specie se paragonate alle loro stesse

difficoltà dell’immediato dopoguerra.

C’è da dire che alcuni pensano che

invece il quarto blocco sia da collocare a

partire dal 2008, in coincidenza con il

crollo del mercato immobiliare e la

svalutazione del dollaro come

conseguenza, limitando l’egemonia

economica americana nel mondo; altri

ancora, invece, ritengono che questo

periodo stia solo aspettando di finire la

sua già vecchia storia di declino.

Dopo tutto questo vi domanderete: “Ma

questo cosa dovrebbe avere a che fare

con la radicalizzazione?”. La ragione è

semplice: durante il secondo blocco,

avviene la famosa perdita del potere

popolare e si entra in questo circolo

vizioso in cui il consenso e il supporto

popolare sono fondamentali, ma la sua

ingerenza è talmente insignificante che

non viene tenuta in considerazione. Nel

primo dopoguerra vediamo, infatti,

molti partiti radicali che cominciano a

farsi strada nelle politiche internazionali


con il partito fascista, il partito nazista, i

partiti legionari di Romania e Bulgaria,

gli Unio-fascisti Britannici e i

movimenti che daranno il via a delle

vere e proprie guerre civili, come quello

falangista in Spagna. Tutti questi partiti

ottennero un supporto imprevedibile

grazie non solo alla loro propaganda,

quanto all’incompetenza dei governi

democratici di quegli anni, come, per

esempio, quello del ministro inglese

Chamberlain, che si è dimostrato

incapace di bilanciare governo e popolo,

economia e diritti, pace e guerra. Per via

di promesse, seppur false, di gloria e di

una vita migliore, in un mondo di

incertezze, le masse si mossero a favore

di colui che svolgeva la migliore

campagna propagandistica, il quale era,

nella maggior parte dei casi, un partito

estremista. Questa tipologia di politica

non necessita della cooperazione con

l’opposizione e raramente si assumerà le

proprie responsabilità, preferendo

colpevolizzare le scelte dei partiti

nemici, potenziando così la propaganda

a proprio vantaggio.

Parlando del mondo moderno, e più

specificamente dell’Europa democratica,

la radicalizzazione, rispetto al passato, è

data da problemi più sociali che

economici. Una tematica che da qualche

anno è argomento quotidiano è

l’immigrazione, facilmente sfruttabile sia

dalla destra che dalla sinistra per far leva

sulla paura razziale o sull’empatia

ipocrita della gente. Sta di fatto che, in

un mondo in cui le differenze tra

persone in ambito politico sembrano

insuperabili, serve ricordare che le

potenze avverse politicamente (come

Atene e Sparta) non hanno mai concluso

le loro guerre con vincitori, bensì solo

con la completa distruzione reciproca e

la rovina della civiltà comune che

avrebbero dovuto proteggere, in quanto

egemoni di essa.


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