IL PENSIERO DOSTOEVSKIANO E LA COLONIA PENALE
«Lì c’era un mondo particolare,
che non assomigliava più a nulla;
li c’erano delle leggi particolari,
delle vesti a sé, degli usi e costumi,
e una casa di morti che pure erano
vivi, una vita come in nessun altro
luogo, e persone particolari.»
La produzione letteraria di
Dostoevskij, per quanto vasta
sia, può essere
approssimativamente divisa in
due fasi distinte: quella pre-
colonia penale, e quella post.
Alquanto ovvio è che le sue
opere più famose e conosciute
risalgono alla seconda fase.
Questo perché di fatto la
seconda fase è caratterizzata da
un Dostoevskij piú maturo, piú
cosciente e con concetti e ideali
ben diversi da quelli che erano
prima del periodo in Siberia.
La produzione precedente però
è indispensabile per
comprendere a pieno il suo
pensiero e la sua concezione di
vita, così come di malattia e
comunità, che
caratterizzeranno le sue opere
successive. L’opera di
“passaggio” che aiuta a
comprendere come il pensiero
dostoevskiano sia mutato con la
permanenza in Siberia è
certamente Memorie da una casa
di morti.
Il primo Dostoevskij incentra le
sue opere su temi come la
povertà e la miseria, con un
ruolo portante del denaro e un
ideale di società che non è
uguale per tutti.
Un Dostoveskij alle prime armi,
che cita Gogol e Pushkin e che
subito fa breccia all’interno delle
persone con il romanzo
epistolare di debutto Povera
gente.
Ma com’é possibile che lo stesso
Dostoevskij che ha scritto un
romanzo come Netocka
Nezvanova abbia scritto Delitto e
castigo oppure L’idiota?
Certo é naturale che il pensiero
e le concezioni di un autore
cambino e si evolvano nel
tempo ma qui stiamo parlando
di una visione di vita
completamente (o quasi)
differente.
Ed è qui che entra in gioco
l’opera Memorie da una casa di
morti, il racconto semi
autobiografico che descrive il
periodo in Siberia dell’autore.
Libro indispensabile per
comprendere a pieno la visione
e il pensiero dostoevskiano, ma
soprattutto per apprezzare di più
un autore incredibile come
Dostoevskij.
Alcune considerazioni
sull’opera e relativa analisi sul
piano letterale e
comunicativo
Sin dall’inizio risulta chiaro
come il narratore (che rispecchia
quasi completamente
Dostoveskij) abbia una visione
chiara e concisa dell’idea di
giustizia e di quella di punizione.
È di fatto qua dove Dostoevskij
matura la consapevolezza della
colpa e il peso del delitto, e si
esprime contro la parità di
punizione per delitti simili ma
motivati da cause completamente
diverse. Sa che nessun delitto può
essere paragonato ad un altro ma
la sua visione è una visione più
interpersonale e privata;
considera il delitto non quanto il
delitto stesso, ma più il delitto
come una causa di qualcosa di
precedente, e sostiene che in
questo caso il “peso” di quello
stesso delitto non dovrebbe essere
uguale a quello di un delitto non
preceduto da motivazioni
determinate. Questo lo vediamo
rispecchiato giustamente poi in
Delitto e castigo e all’ideale e
convinzione di Raskolnikov
nell’aver fatto una cosa “giusta”
perché giustificato da precedenti
atti; oppure rivediamo ne L’idiota
come Dostoevskij sia nettamente
contro la pena capitale, questo
dovuto alla sua esperienza
personale e alla sua condanna a
morte (rilasciata all’ultimo e
modificata in 4 anni di lavori
forzati e 6 di confino). Nel
descrivere la sua vita alla colonia
penale Dostoevskij dà molto
peso alla distinzione tra le
diverse persone nella colonia:
l’uomo del popolo e l’uomo
colto. Concetto che poi
inevitabilmente troviamo
all’interno di Memorie dal
sottosuolo con l’uomo
coscienzioso e l’uomo d’azione.
All’interno della colonia penale
su Dostoevskij pesa molto questa
distinzione in quanto secondo
lui, essa comporta un diverso
modo di soffrire, un diverso
modo di “vivere” quella vita e di
comprenderla. La sua
constatazione è che per quanto
l’uomo del popolo che si ritrova
alla colonia penale abbia perso
molto (come la patria e la
famiglia), esso si ritrova
comunque in un tipo di società
che è molto simile (quasi uguale)
a quella in cui era integrato
precedentemente; è circondato
da suoi simili, e soffre meno la
privazione morale (che è di fatto
meno pesante di quella fisica),
rispetto invece all’uomo colto,
abituato a vivere in un
determinato ambiente, che si
trova catapultato in uno che non
conosce minimamente, privato
moralmente e fisicamente di
tutto ciò che ha caratterizzato la
sua vita fino a quel momento.
E questo è il caso di
Dostoevskij.
Ecco anche perché queste
esperienze in Siberia segnano
così tanto il suo pensiero e le
sue opere successive.
Da questa “separazione” tra i
due tipi di detenuti nasce anche
la concezione di ‘popolo’ e
‘società’ all’interno della colonia
penale. Nonostante il tempo
(anni, decenni) che l’uomo
colto passa all'interno della
colonia penale, egli non sarà
mai visto e considerato dagli
uomini del popolo come uno di
loro. Questo è anche quello che
soffre Dostoevskij; in un
ambiente dove si viene privati
di tutte le proprie libertà e si
rimane tutti uguali, Dostoevskij
e gli uomini colti sono “lasciati
in disparte” e abbandonati a se
stessi. L’unica cosa che potrebbe
salvare l’essere umano privato
della propria libertà è la
concezione e ideale di
comunità, che però non è
sentito da Dostoevskij, neanche
dopo dieci anni. La libertà
dell’essere umano é
sopravvalutata; solo nel
momento in cui essa viene
negata, l’uomo realizza di averla
avuta e di averla persa.
Gli uomini rinchiusi nella “casa
dei morti” si ritrovano in un
mondo separato da quello
normale; questo mondo è
qualcosa di delimitato ma
infinito, una prigione che per
quanto impone dei limiti fisici
legati al territorio, sembra
infinita rispetto al concetto di
tempo e durata della pena. E’
forse possibile una tale ambiguità?
L’uomo si sente oppresso dalla
limitazione della propria libertà di
movimento, ma anche oppresso
dal fatto che non ha la libertà di
un futuro. Ed è per questo che lo
sogna. Lo sogna, sogna un futuro,
perché non può fare altro che
sognarlo. Se non lo sognasse esso
cesserebbe di esistere (anche se
solo in modo astratto), e l’uomo
di fatto non può esistere senza
una concezione di futuro. Il
desiderio di voler vivere e
ricominciare la propria vita dopo
la colonia penale è fondamentale
per Dostoevskij, il quale
nonostante tutto, non rinuncia e
non si abbandona alla vita nella
colonia. Egli aspetta lentamente e
pazientemente la “resurrezione”
dalla casa di morti, che avverrà
prima o poi, inevitabilmente
avverrà. Egli ha modo di
contemplare e analizzare la sua
vita precedente, e giurare a se
stesso che una volta uscito da
questa “casa di morti” egli diverrà
un persona migliore e non cadrà
negli stessi errori di prima.
Il desiderio di libertà e speranza
accomuna tutti i detenuti, ma
viene interpretato in modi
diversi. Ma c’è forse un unico
modo per farlo? La colonia penale
è un'esperienza di vita, di
comunità, di società e di popolo
che può essere capita solo se
provata sulla propria pelle.
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