top of page

UNA CASA DI MORTI

Rossella Agostino Giammillari

IL PENSIERO DOSTOEVSKIANO E LA COLONIA PENALE

«Lì c’era un mondo particolare,

che non assomigliava più a nulla;

li c’erano delle leggi particolari,

delle vesti a sé, degli usi e costumi,

e una casa di morti che pure erano

vivi, una vita come in nessun altro

luogo, e persone particolari.»

La produzione letteraria di

Dostoevskij, per quanto vasta

sia, può essere

approssimativamente divisa in


due fasi distinte: quella pre-

colonia penale, e quella post.


Alquanto ovvio è che le sue

opere più famose e conosciute

risalgono alla seconda fase.

Questo perché di fatto la

seconda fase è caratterizzata da

un Dostoevskij piú maturo, piú

cosciente e con concetti e ideali

ben diversi da quelli che erano

prima del periodo in Siberia.

La produzione precedente però

è indispensabile per

comprendere a pieno il suo

pensiero e la sua concezione di

vita, così come di malattia e

comunità, che

caratterizzeranno le sue opere

successive. L’opera di

“passaggio” che aiuta a

comprendere come il pensiero

dostoevskiano sia mutato con la

permanenza in Siberia è

certamente Memorie da una casa

di morti.

Il primo Dostoevskij incentra le

sue opere su temi come la

povertà e la miseria, con un

ruolo portante del denaro e un

ideale di società che non è

uguale per tutti.

Un Dostoveskij alle prime armi,

che cita Gogol e Pushkin e che

subito fa breccia all’interno delle

persone con il romanzo

epistolare di debutto Povera

gente.

Ma com’é possibile che lo stesso

Dostoevskij che ha scritto un

romanzo come Netocka

Nezvanova abbia scritto Delitto e

castigo oppure L’idiota?

Certo é naturale che il pensiero

e le concezioni di un autore

cambino e si evolvano nel

tempo ma qui stiamo parlando

di una visione di vita

completamente (o quasi)

differente.

Ed è qui che entra in gioco

l’opera Memorie da una casa di

morti, il racconto semi

autobiografico che descrive il

periodo in Siberia dell’autore.

Libro indispensabile per

comprendere a pieno la visione

e il pensiero dostoevskiano, ma

soprattutto per apprezzare di più

un autore incredibile come

Dostoevskij.

Alcune considerazioni

sull’opera e relativa analisi sul

piano letterale e

comunicativo

Sin dall’inizio risulta chiaro

come il narratore (che rispecchia

quasi completamente

Dostoveskij) abbia una visione

chiara e concisa dell’idea di

giustizia e di quella di punizione.

È di fatto qua dove Dostoevskij

matura la consapevolezza della

colpa e il peso del delitto, e si

esprime contro la parità di

punizione per delitti simili ma

motivati da cause completamente

diverse. Sa che nessun delitto può

essere paragonato ad un altro ma

la sua visione è una visione più

interpersonale e privata;

considera il delitto non quanto il

delitto stesso, ma più il delitto

come una causa di qualcosa di

precedente, e sostiene che in

questo caso il “peso” di quello

stesso delitto non dovrebbe essere

uguale a quello di un delitto non

preceduto da motivazioni

determinate. Questo lo vediamo

rispecchiato giustamente poi in

Delitto e castigo e all’ideale e

convinzione di Raskolnikov

nell’aver fatto una cosa “giusta”

perché giustificato da precedenti

atti; oppure rivediamo ne L’idiota

come Dostoevskij sia nettamente

contro la pena capitale, questo

dovuto alla sua esperienza

personale e alla sua condanna a

morte (rilasciata all’ultimo e

modificata in 4 anni di lavori

forzati e 6 di confino). Nel

descrivere la sua vita alla colonia

penale Dostoevskij dà molto

peso alla distinzione tra le

diverse persone nella colonia:

l’uomo del popolo e l’uomo

colto. Concetto che poi

inevitabilmente troviamo

all’interno di Memorie dal

sottosuolo con l’uomo

coscienzioso e l’uomo d’azione.

All’interno della colonia penale

su Dostoevskij pesa molto questa

distinzione in quanto secondo

lui, essa comporta un diverso

modo di soffrire, un diverso

modo di “vivere” quella vita e di

comprenderla. La sua

constatazione è che per quanto

l’uomo del popolo che si ritrova

alla colonia penale abbia perso

molto (come la patria e la

famiglia), esso si ritrova

comunque in un tipo di società

che è molto simile (quasi uguale)

a quella in cui era integrato

precedentemente; è circondato

da suoi simili, e soffre meno la

privazione morale (che è di fatto

meno pesante di quella fisica),

rispetto invece all’uomo colto,

abituato a vivere in un

determinato ambiente, che si

trova catapultato in uno che non

conosce minimamente, privato

moralmente e fisicamente di

tutto ciò che ha caratterizzato la

sua vita fino a quel momento.

E questo è il caso di

Dostoevskij.

Ecco anche perché queste

esperienze in Siberia segnano

così tanto il suo pensiero e le

sue opere successive.

Da questa “separazione” tra i

due tipi di detenuti nasce anche

la concezione di ‘popolo’ e

‘società’ all’interno della colonia

penale. Nonostante il tempo

(anni, decenni) che l’uomo

colto passa all'interno della

colonia penale, egli non sarà

mai visto e considerato dagli

uomini del popolo come uno di

loro. Questo è anche quello che

soffre Dostoevskij; in un

ambiente dove si viene privati

di tutte le proprie libertà e si

rimane tutti uguali, Dostoevskij

e gli uomini colti sono “lasciati

in disparte” e abbandonati a se

stessi. L’unica cosa che potrebbe

salvare l’essere umano privato

della propria libertà è la

concezione e ideale di

comunità, che però non è

sentito da Dostoevskij, neanche

dopo dieci anni. La libertà

dell’essere umano é

sopravvalutata; solo nel

momento in cui essa viene

negata, l’uomo realizza di averla

avuta e di averla persa.

Gli uomini rinchiusi nella “casa

dei morti” si ritrovano in un

mondo separato da quello

normale; questo mondo è

qualcosa di delimitato ma

infinito, una prigione che per

quanto impone dei limiti fisici

legati al territorio, sembra

infinita rispetto al concetto di

tempo e durata della pena. E’

forse possibile una tale ambiguità?

L’uomo si sente oppresso dalla

limitazione della propria libertà di

movimento, ma anche oppresso

dal fatto che non ha la libertà di

un futuro. Ed è per questo che lo

sogna. Lo sogna, sogna un futuro,

perché non può fare altro che

sognarlo. Se non lo sognasse esso

cesserebbe di esistere (anche se

solo in modo astratto), e l’uomo

di fatto non può esistere senza

una concezione di futuro. Il

desiderio di voler vivere e

ricominciare la propria vita dopo

la colonia penale è fondamentale

per Dostoevskij, il quale

nonostante tutto, non rinuncia e

non si abbandona alla vita nella

colonia. Egli aspetta lentamente e

pazientemente la “resurrezione”

dalla casa di morti, che avverrà

prima o poi, inevitabilmente

avverrà. Egli ha modo di

contemplare e analizzare la sua

vita precedente, e giurare a se

stesso che una volta uscito da

questa “casa di morti” egli diverrà

un persona migliore e non cadrà

negli stessi errori di prima.

Il desiderio di libertà e speranza

accomuna tutti i detenuti, ma

viene interpretato in modi

diversi. Ma c’è forse un unico

modo per farlo? La colonia penale

è un'esperienza di vita, di

comunità, di società e di popolo

che può essere capita solo se

provata sulla propria pelle.

0 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

PLAZER

Comments

Rated 0 out of 5 stars.
No ratings yet

Add a rating
bottom of page