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Albert Einstein: amore o odio per la scuola?

Giulia Barba

Rubrica: Interviste mai viste


Buongiorno Professor Einstein, è un vero onore poter parlare con il Padre della relatività. Innanzitutto mi presento: sono una studentessa del liceo Carlo Tenca e scrivo per il giornalino “Il Crepuscolo”. È da tempo che intervisto i grandi personaggi del passato come Lei, per raccontare le loro storie e far sì che i nostri lettori possano prendere ispirazione dalle loro vite.

Interessante!

Come forse saprà, un nuovo anno scolastico è da poco iniziato e spero che si unirà a me nell'augurare un buon anno a tutti gli studenti, in particolar modo a quelli che hanno appena iniziato il liceo.

Ma certamente! Gli anni di scuola non sono facili, ma sono fondamentali. Ve ne renderete conto, prima o poi.

A proposito, qual era il Suo rapporto con la scuola?

Il mio rapporto con la scuola? Beh, devo ammettere che non l'amavo molto quando ero ragazzo.

Perché?

Ai miei tempi, in Germania, la scuola funzionava come l'esercito ed io non ero ben visto per le continue domande, l’abitudine di mettere sempre tutto in discussione e la tendenza a non rispettare l'autorità. Il mio professore di greco disse, addirittura, che non avrei combinato nulla nella vita e che sarebbe stato meglio per me abbandonare gli studi, dato che la mia presenza in classe annullava il rispetto dei miei compagni verso gli insegnanti. Insomma, non ero proprio uno studente modello!

Cosa mi dice dei Suoi voti?

Erano molto buoni, oserei dire eccezionali in matematica e fisica. Del resto, a nove anni venni ammesso al Luitpold Gymnasium, una scuola molto competitiva.

A Lei però non piaceva.

Diciamo che non mi interessava. I miei veri studi li compivo a casa: a dodici anni leggevo testi universitari di fisica e geometria e a quattordici avevo già acquisito familiarità con il calcolo differenziale e integrale. 

Risultati notevoli! Ma alla fine si diplomò al Luitpold Gymnasium?

No. Frustrato e annoiato dal sistema scolastico, abbandonai il ginnasio e a quindici anni decisi di studiare per conto mio. Raggiunsi i miei genitori in Italia e mi godetti un glorioso anno di libertà. Più avanti, però, ne avrei pagato le conseguenze.

In che senso?

A sedici anni volevo già cominciare l'università, tuttavia non avevo né il diploma né l'età minima richiesta. Tentai comunque l'esame di ammissione al Politecnico di Zurigo, ma fui bocciato.

Davvero?

Sì, nonostante i brillanti voti in matematica e fisica, avevo serie lacune in francese, che era la lingua d'esame. È risaputo che le materie letterarie non sono proprio il mio forte!

E quindi cosa fece?

Fui costretto a tornare a scuola. Mi iscrissi al Gymnasium di Aarau, in Svizzera, e studiai altri due anni per ottenere il diploma.

Il sistema scolastico svizzero le piacque di più rispetto a quello tedesco? 

Decisamente; gli insegnanti erano più aperti e comprensivi ed ero libero di esprimere le mie idee. 

Con quanto si diplomò?

Buoni voti, direi. Presi sei in storia, algebra, geometria e fisica; cinque in tedesco, italiano, chimica, storia naturale; quattro in geografia, disegno artistico e tecnico. L'unico problema continuava ad essere il francese, dove ottenni solo tre.

Ricordiamo, però, ai nostri lettori che i voti in Svizzera andavano da uno a sei, quindi quattro equivaleva alla sufficienza.

Infatti, la leggenda che andassi male a scuola nacque proprio da questi voti che, se confrontati con il sistema decimale, appaiono parecchio scarsi.

Ad ogni modo, con questo diploma riuscì ad entrare al Politecnico di Zurigo?

Sì, e mi laureai a soli 21 anni in matematica e fisica. 

Complimenti! Cosa fece poi?

In realtà, ebbi molta difficoltà a trovare lavoro all’università. Infatti, il mio comportamento non era apprezzato neanche dai miei insegnanti universitari e ciò mi diede una brutta reputazione. Alla fine, però, un amico mi aiutò a trovare lavoro presso l'Ufficio brevetti di Berna. Qualche anno più tardi, nel 1905, formulai la teoria della relatività ristretta e divenni molto famoso, ma questa è un'altra storia…

Bene, la ringrazio davvero per questa intervista. Prima di andare, però, potrebbe dare un consiglio ai nuovi studenti?

Certo. Siate curiosi, non smettete mai di porvi domande e perseverate nel trovare le risposte. Come avete visto, io non ho mai amato la scuola, addirittura l’ho abbandonata alla ricerca della libertà, stanco delle rigide regole. Ma la libertà, ragazzi, la potrete assaporare solo dopo anni di duro lavoro e, allora, non sarà amara, ma avrà il sapore di nettare e ambrosia, come direbbe il mio professore di greco.

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