Interviste mai viste
Buongiorno signor Fuchs e grazie per avermi concesso questa intervista, la prima del 2024.
È un piacere per me essere qui e poter raccontare la mia storia.
Una storia lunga e intrigante, benché molto poco conosciuta. Hans Bethe l’ha definita “l'unico fisico che ha davvero cambiato la storia”. Aveva ragione?
Non saprei. Hans era un mio carissimo amico, nonché capo della Divisione Teorica del laboratorio di Los Alamos, in cui lavorai. La sua frase mi sembra un po’ esagerata: ci sono stati ben più grandi fisici. Ma se mettiamo da parte i miei contributi scientifici, certo modesti anche se non del tutto inutili, e assumiamo che Bethe si riferisca alla mia “vita segreta”, allora questa affermazione trova una giustificazione. E non si può negare la sua veridicità.
Sono d'accordo, sarebbe veramente difficile immaginare come sarebbe il nostro mondo se Lei non avesse agito come ha fatto. Ci sarebbe stata una nuova guerra mondiale? O, al contrario, la produzione di armi atomiche sarebbe rallentata? E la guerra fredda? Che direzione avrebbe preso? Impossibile rispondere a queste domande, ma di una cosa si può essere certi: il mondo sarebbe molto, molto diverso. Ad ogni modo, avremo incuriosito a sufficienza i nostri lettori, per cui, senza perdere ulteriore tempo, entriamo subito nel vivo dell'intervista: cosa si ricorda della Sua infanzia e della Sua giovinezza?
Nacqui a Rüsselsheim, vicino a Francoforte, il 29 dicembre 1911. Mio padre era membro del Partito Socialdemocratico di Germania (SPD), un accanito nemico del regime nazista e un pacifista convinto. Da lui ereditai un carattere anticonformista, l’impegno per la politica e per la difesa dei diritti sociali. Tuttavia, non ero proprio un pacifista. A 18 anni mi unii all’organizzazione paramilitare dell’SPD e non esitavo ad usare la violenza contro i nazisti, se necessario. Una volta venni picchiato e lanciato in un fiume, dopo aver tentato di sciogliere una riunione del partito nazista. Insomma, non si può certo dire che non me la fossi cercata.
Nella Germania del tempo, tuttavia, le nostre idee socialiste suscitavano sospetti. A scuola, io e i miei fratelli eravamo soprannominati “volpi rosse”, dato che Fuchs in tedesco significa volpe. Ad ogni modo, mi accorsi subito che le mie passioni erano la matematica e la fisica e mi dedicai a studiarle prima all’Università di Leipzig e poi a Kiel, dove lavorava mio padre. Era il 1931. Nella primavera dell’anno successivo, passai al Partito Comunista (KPD), alla ricerca di un’azione più concreta contro i nazisti.
Qualche mese dopo, tutto sarebbe cambiato per sempre.
Avevo 20 anni quando Hitler salì al potere nel gennaio del 1933. Decisi di lasciare Kiel, dove ero troppo conosciuto come comunista e continuai i miei studi a Berlino. Presi il treno per la capitale la mattina del 28 febbraio e lì lessi sul giornale la terribile notizia dell’incendio del Reichstag. Immaginai subito che la colpa sarebbe stata attribuita ai comunisti e purtroppo i fatti dimostrarono che non mi ero sbagliato. Per sfuggire alle persecuzioni, fui costretto a nascondermi per cinque mesi in un appartamento di un compagno di partito. Poi, sempre grazie all’aiuto di alcuni compagni comunisti, arrivai in Inghilterra.
Non era comunque una situazione semplice: un ragazzo tedesco membro del partito comunista non era, credo, ben visto nel clima teso del Regno Unito di quegli anni.
Per fortuna conobbi Nevill Mott, professore all’Università di Bristol, dove mi laureai nel 1937. Fu Mott a presentarmi il fisico Max Born con il quale lavorai all’Università di Edimburgo. Con lui pubblicai diverse ricerche importanti e ricevetti un dottorato in Scienze.
Ma la Seconda guerra mondiale era alle porte…
Ed essendo un tedesco, ero diventato un vero e proprio nemico e venni trattato come tale. Born tentò di testimoniare in mio favore, ma nel giugno del 1940 venni internato sull’isola di Man e, un mese dopo, fui mandato in un campo profughi in Québec. Qui le condizioni di vita non erano terribili; ebbi la possibilità di continuare a studiare e a lavorare. Inoltre, feci una conoscenza che mi avrebbe cambiato per sempre la vita: Hans Kahle, un comunista tedesco che, insieme a Jürgen Kuczynski, aveva riorganizzato il KPD nel regno Unito. Ricordatevi bene il nome di Jürgen perché tornerà presto nella nostra storia.
Intanto, a Edimburgo, Born non si era arreso e, sfruttando proprio la mia partecipazione al KPD, riuscì a farmi liberare sostenendo che non ero una minaccia per gli inglesi. Così, il giorno di Natale del 1940, partii insieme a Kahle alla volta del Regno Unito. Ripresi, quindi, a lavorare con Born a Edimburgo.
Ma il destino aveva altri piani per Lei
Mi venne offerto un posto di lavoro al programma britannico “Tube Alloys” per la realizzazione di una bomba atomica. Accettai e, nel maggio del 1941, mi trasferii a Birmingham.
E qui iniziò la Sua seconda vita.
Sì, perché nell’autunno del 1941 incontrai Jürgen Kuczynski che mi mise in contatto con sua sorella Ursula, una spia. Fu a lei che passai tutte le informazioni segretissime sul progetto “Tube Alloys”. Insomma, grazie a me, tutte le scoperte di Birmingham arrivavano direttamente agli scienziati di Stalin.
Era diventato anche Lei un’autentica spia! Nessuno sospettò mai di Lei?
Beh, sì, di sospetti ce ne furono e non pochi. L’intelligence britannica non aveva mai dimenticato il mio passato comunista e controllava ogni mia mossa attentamente. Per fortuna, però, i miei colleghi mi difesero sempre; alla fine ero un uomo timido, discreto, taciturno, talentuoso, fidato, volenteroso… insomma, in una parola: insospettabile.
Intanto anche gli Stati Uniti erano entrati in guerra e, con il progetto Manhattan, il fulcro degli studi per la costruzione della bomba atomica si spostò oltreoceano.
Anch’io mi trasferii a New York alla fine del 1943 per lavorare alla Columbia University e poi, nell’agosto del 1944, raggiunsi il laboratorio Los Alamos, in New Mexico, sede del progetto Manhattan. Io era parte della Divisione teorica guidata da Hans Bethe.
Durante questo tempo continuò ad informare i russi?
Sì, tramite l’agente Harry Gold. A lui raccontai tutti i dettagli del Trinity test, la prima esplosione nucleare della storia, avvenuta il 10 luglio del 1945, a cui fui tra i pochi ad assistere.
Secondo Lei, quanto fu importante il suo contributo per i russi?
Moltissimo. I russi, infatti, avevano abbandonato il progetto atomico nel 1941 per dedicarsi alla creazione di bombe tradizionali e far fronte all’invasione nazista. A partire dal 1943, tuttavia, con la graduale ritirata tedesca, il progetto era ripreso e fu solo grazie alle mie informazioni se i sovietici non rimasero indietro. La prima esplosione atomica russa avvenne il 29 agosto del 1949 e fu una replica di quella americana, grazie ai dati che avevo passato. Chissà quanti anni ancora ci avrebbero messo senza il mio aiuto.
Nel frattempo Lei era rimasto negli Stati Uniti?
No, nell’agosto del 1946 ero tornato nel Regno Unito, dove mi era stato affidato un posto a capo del Dipartimento di Fisica Teorica nello Stabilimento di Ricerca sull’Energia Atomica di Harwell.
Intanto, però, l’intelligence britannica non si era dimenticata di Lei.
Purtroppo no. Venni scoperto nel settembre del 1949 dal servizio di controspionaggio e, stanco dei lunghi interrogatori e fiducioso nella promessa di mantenere il mio posto ad Harwell, confessai tutto nel 1950.
Quindi rimase a lavorare ad Harwell?
No, venni arrestato e condannato a 14 anni di reclusione, il massimo della pena per il reato di spionaggio tenendo conto che l’Unione Sovietica era un alleato al tempo. Alla fine scontai solo nove anni e mezzo e, nel 1959, ritornai in Germania, a Dresda. Qui sposai Grete Keilm, una mia vecchia amica e continuai a lavorare come fisico ottenendo, tra l’altro, importantissimi riconoscimenti.
Una vita tutt’altro che tranquilla! Ad ogni modo, La ringrazio per questa intervista e Le pongo, se permette, solo un’ultima domanda. Come mai ha deciso di diventare una spia dei Sovietici?
Quando il mio amico scienziato Rudolf Peiels mi venne a trovare in carcere mi pose la stessa domanda ed io risposi che la conoscenza della ricerca atomica non dovrebbe essere proprietà privata di nessun Paese, ma dovrebbe essere condivisa con il resto del mondo per il beneficio della specie umana. Non è veramente così semplice e ci furono tanti fattori che mi spinsero a diventare una spia, tra cui l’odio per i nazisti e il tentativo di bilanciare le potenze globali per evitare un possibile ricatto nucleare.
Prima di andare, vorrei dire un’ultima cosa: non mi sono mai pentito di quello che ho fatto, anche se ho dovuto pagarne il prezzo. La mia esperienza mi ha insegnato che è importante essere consapevoli dell’impatto che le nostre azioni avranno sulla nostra vita e su quella degli altri e che bisogna affrontare con coraggio le conseguenze, positive o negative.
Se credete veramente in quello che fate, non sarà difficile.
Lascio, per chi fosse interessato, il QR code di un podcast in inglese, la cui seconda stagione parla di Klaus Fuchs
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