A differenza delle altre interviste immaginarie a personaggi del passato, questa volta ho avuto l’opportunità di rivolgere le mie domande all’esimia dottoressa Guglielmetti, docente presso l’Università degli Studi di Milano, che il giorno 5 marzo, invitata dalla professoressa Casali, ha tenuto un’interessantissima lezione sui Bestiari medievali.
Buongiorno professoressa Guglielmetti e grazie per avermi concesso questa intervista per il giornalino del liceo Tenca.
Grazie a te e al giornalino per questa chiacchierata!
La Sua lectio magistralis sui Bestiari medievali è stata molto stimolante e coinvolgente. Si vede che Lei, oltre che una grande studiosa della materia, ne è anche profondamente affascinata. Da dove deriva questa Sua grande passione?
È proprio così, amo studiare il Medioevo e amo parlarne! È una passione nata già quando ero al Liceo: studiando la storia e soprattutto la letteratura medievale, Dante specialmente, mi sono resa conto che volevo saperne sempre di più su questo periodo ricchissimo, pieno di creatività e di sorprese. Ci sono migliaia di autori e di testi, eppure quasi nessuno li conosce; e, cosa che mi ha affascinata ancora di più, tanti non sono ancora nemmeno pubblicati, ma restano nascosti nei manoscritti.
Quali soddisfazioni Le ha dato dedicare la Sua vita allo studio del Medioevo? Ha mai avuto la possibilità di maneggiare manoscritti antichi e quali emozioni le hanno trasmesso?
Sì, molto spesso mi trovo a lavorare su manoscritti di secoli e secoli fa, ed è un’emozione grandissima. Sfogliare un manoscritto medievale dà la sensazione di avere un contatto con le persone che tanto tempo fa lo hanno materialmente realizzato, lo hanno letto, hanno lasciato le loro annotazioni… come una macchina del tempo che riporta vicini agli autori e ai loro lettori. A volte, poi, l’emozione è ancora più intensa perché si sta leggendo e trascrivendo un testo “nuovo”, che non era mai stato studiato prima. La soddisfazione più bella è sapere che studiando e pubblicando un testo si fanno come tornare in vita le parole, l’arte, il pensiero di qualcuno che così può parlarci di nuovo.
Ma veniamo al Bestiarium. Abbiamo appreso che nel Medioevo le pietre erano descritte in libri detti Lapidari, le piante negli Erbari e gli animali nei Bestiari. In questi ultimi vengono descritti brevemente animali reali e immaginari con spiegazioni moralizzanti e riferimenti biblici. Qual è l’importanza del simbolismo in questo tipo di testi?
Il simbolismo è centrale. Descrivere la natura, le caratteristiche, i comportamenti degli animali serve proprio a suggerire interpretazioni simboliche, non alla conoscenza dell’animale in sé. L’idea è che ogni elemento della natura è lì per parlare all’uomo delle verità divine: i dogmi della teologia, le norme morali; e l’uomo ha il compito di saper leggere queste verità osservando la natura e cogliendone questa essenza profonda. Da un lato è un atteggiamento che a noi sembra strano, che ovviamente è antiscientifico, ma ha anche un suo lato suggestivo: in fondo è come vedere nel mondo attorno a noi degli strati di mistero e di ricchezza in più.
Lei ci ha raccontato che le illustrazioni presenti in questi testi erano realizzate dai miniatori, i quali spesso non conoscevano gli animali, in particolare quelli esotici. Come si spiegano dunque le somiglianze nelle raffigurazioni di specifici animali, ad esempio la pantera, tra manoscritti prodotti anche in monasteri molto distanti tra loro?
Spesso i monasteri più importanti, che tenevano molto alla qualità estetica dei manoscritti di bestiari che realizzavano, si passavano tra loro dei “disegni modello”, che indicavano agli illustratori come dovevano rappresentare l’animale e in quale situazione. Ma in tanti altri casi dei modelli non c’erano, e noi capiamo che chi illustrava il codice cercava di basarsi sulle descrizioni scritte per farsi un’idea di come fosse fatto l’animale in questione; infatti troviamo soluzioni molto diverse e a volte buffe, come pantere con le corna, serpenti con le zampe da leone, coccodrilli con le penne blu…
L’uomo a cui era destinato il Bestiarium era un uomo “spirituale”, che non si limitava ad ammirare la bellezza esteriore dell’animale raffigurato ma doveva saper apprezzare anche la bellezza non visibile, insita nella straordinaria sapienza del Creatore. Non ci si doveva, quindi, fermare all’aspetto esteriore ma cogliere il senso della volontà divina creatrice di ogni cosa. In questo senso, non pensa anche lei che forse oggi più che mai servirebbero i Bestiari per imparare ad andare oltre le apparenze e la schiavitù dell’apparire imposta dalla società contemporanea?
Sì, non solo i bestiari ma qualunque testo o opera d’arte che spinga a fermarsi a pensare, a interpretare, a chiedersi che cosa c’è dietro le apparenze. La nostra società è avvelenata da due cose, la schiavitù dell’apparire, come dici bene, e la fretta: tutto si guarda/legge di corsa, si dimentica, viene travolto da altro che arriva dopo e a sua volta passerà in un attimo. I medievali ci troverebbero molto strani: per loro la dimensione naturale nel leggere un testo o osservare un’immagine era la pazienza di interrogarli a lungo, finché non se ne traevano tutti i significati possibili e non li si fissava nella memoria.
Mi ha colpito anche la differenza tra i bestiari “colti”, scritti in latino e quelli più “bassi” scritti con un linguaggio più semplice e con testi destinati ai laici. Addirittura, vi erano delle versioni “mini” destinate ai ragazzi, una sorta di Bignami della fauna. Quanto erano diffusi questi “Bestiarini”?
Non lo sappiamo bene, perché di solito i manoscritti di uso più quotidiano, soprattutto quelli della scuola, sono spariti: si consumavano, si buttavano via, non entravano nelle biblioteche ecclesiastiche o pubbliche, che sono quelle che hanno tramandato meglio i libri fino ai giorni nostri. Ne abbiamo qualche traccia quando il ragazzo era di una famiglia importante che conservava bene i suoi libri. Comunque è evidente che c’era un pubblico di persone, anche adulte, di media cultura per cui si scrivevano anche bestiari in latino ma un latino molto semplificato, che assomiglia al volgare.
Quali sono gli equivalenti moderni dei Bestiari? Potremmo considerare i bestiari come i primi esempi di fantasy letterario? Quindi, possiamo collegarli a romanzi contemporanei come “Il Signore degli Anelli” o “Harry Potter”?
In realtà nel Medioevo i bestiari erano considerati una fonte di sapere reale, tutto il contrario del fantasy: si credeva davvero che esistessero quegli animali (anche quelli che noi oggi chiamiamo fantastici) e che si comportassero così. Per loro era scienza, e credo che se dovessero scegliere un nostro libro come “erede” dei loro bestiari punterebbero il dito su un’enciclopedia illustrata degli animali. Anche se è vero che nella letteratura contemporanea il fantasy si è impadronito proprio degli animali più strani dei bestiari per rendere più affascinanti i suoi intrecci! E così abbiamo Harry Potter nella Casa del Grifondoro, che si fa ferire dal basilisco e guarire dalla fenice…
Quali sono le differenze tra i bestiari di diverse regioni o periodi storici? Esistono variazioni significative nelle rappresentazioni degli animali fantastici?
Non ci sono grandi variazioni in quello che si scriveva e si illustrava in bestiari lontani nel tempo e nello spazio, anche se questo può sorprenderci. Le scienze naturali – sempre ricordando che la fenice era creduta vero quanto il cervo o il cane, perciò non c’era differenza tra animali reali e fantastici – sono state un campo nel quale il Medioevo è stato molto conservativo. Si fidava delle descrizioni già molto sviluppate che arrivavano dal mondo classico. Questo per quanto riguarda la poca evoluzione nel tempo. C’è poi un aspetto del Medioevo che riguarda tutta la cultura ed è molto importante: la letteratura e il sapere tendevano a avere una dimensione europea, non regionale, grazie al fatto che ovunque si usava il latino per scrivere e si condivideva lo stesso patrimonio di testi, antichi e nuovi. Quello che si studiava per esempio in Inghilterra era molto simile a quello che si studiava in Italia, ben più di quel che succede oggi.
Come possiamo applicare i principi dei bestiari alla nostra vita? Forse possiamo riflettere su quali “animali” simbolici ci circondano e cosa possiamo imparare da loro?
Credo che potremmo farlo in due modi. Uno è guardare la natura ponendoci la stessa domanda che si ponevano nel Medioevo: perché? Perché questo animale è fatto così, agisce così? Per noi la risposta non sta più in un mistero teologico impresso da Dio nell’animale, ma nel capire la realtà attraverso la biologia, la fisica, l’etologia (cioè lo studio del comportamento), in una parola la scienza. Ma possiamo anche avvicinarci al punto di vista medievale chiedendoci invece, come suggerisci, che cosa possono insegnarci gli animali con i loro comportamenti, che spesso sono migliori dei nostri…
Come sarebbe un bestiario contemporaneo? Potremmo includere nuove simbologie come icone, emoji e meme traslate in figure fantastiche? Cosa rappresenterebbero?
C’è qualcosa di simile nel meccanismo, cioè un’immagine stereotipata che trasmette un significato che tutti sanno interpretare: come vedendo in un bestiario una fenice tutti pensavano a Cristo, che risorge dopo tre giorni come la fenice, così oggi noi, vedendo una faccina gialla con un cuoricino, capiamo “bacio”. Però sarebbe un vero peccato sostituire con i nostri disegnini le illustrazioni meravigliose dei bestiari, piene di colori, di fantasia, di “faccine” ancora più espressive!
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