Rubrica: Gli shinigami che non mangiano mele
Premessa:
Dazai Osamu fu uno scrittore giapponese del primo Novecento, a cui lo scrittore Kafka Asagiri si ispirò per creare il personaggio, suo omonimo, Dazai Osamu dell’universo di Bungo Stray Dogs.
Dazai Osamu faceva parte di una scuola decadente chiamata ‘Burai-ha’, nella quale la tecnica narrativa più utilizzata era quella dello shishosetsu, il Romanzo dell’ Io, in cui gli avvenimenti narrati corrispondono agli eventi della vita dell’autore.
I personaggi principali dei romanzi di questa scuola incarnano la figura dell'antieroe, debosciato e senza scopi.
In realtà il personaggio ideato da Asagiri è quasi completamente ispirato al protagonista del romanzo più celebre di Dazai, Yozo, da “Lo Squalificato”.
Questo articolo sarà una breve analisi di Yozo, indispensabile per comprendere il personaggio di Dazai, e anche l’autore.
Ciò nonostante non è necessario conoscere il personaggio e l’opera di cui sto parlando.
Per tutti voi che non conoscete Bungo stray dogs, parlerò soltanto di letteratura giapponese.
“Purché ne sia capace, è probabile che gli esseri umani non badino troppo se rimango estraneo alle loro vite. L’unica cosa che debbo evitare, è di riuscir molesto ai loro occhi; sarò nulla, sarò il vento, il cielo”
-Lo squalificato, Osamu Dazai
Il pensiero di Yozo
Yozo non riesce lontanamente a immaginare cosa significhi vivere la vita d’un essere umano. Non si reputa tale, in quanto non rispecchia delle caratteristiche fondamentali che, secondo lui, definiscono l’uomo un ‘essere umano’.
Si sente l’unico individuo diverso dagli altri, e questa diversità gli rende difficile, quasi impossibile, comunicare con gli altri. Ma dato che non vuole separarsi definitivamente dalla società, egli invia ad essa ‘un’ultima richiesta d’amore’, un ultimo tentativo di conversazione: ‘le pagliacciate’.
Quando parla delle sue pagliacciate e della sua falsa personalità, usa espressioni come ‘esibirsi’, ‘niente è vero’, ‘tutto è uno spettacolo’.
Lui stesso si definisce un attore che recita su un palco e con la sua recita e le sue pagliacciate nasconde la sua vera identità.
Ma il fatto è che neanche lui sa quale sia quel suo ‘vero io’ che nasconde agli altri.
Yozo si ritiene un demonietto, che alla fine non è altro che una personalità artificiale e finta creata appositamente per riuscire a sopravvivere. Inoltre lui non vede speranza e nessun senso nel farsi comprendere dagli altri esseri umani, tanto che decide di abbandonarsi all’idea di tollerare tutto e insistere a fare il pagliaccio.
Inoltre dice di temere il rispetto degli altri essere umani perché convinto che, prima o poi, qualcuno finisca con lo smascherare la sua vera natura e rivelare ciò che egli è veramente. Teme di essere scoperto ed identificato direttamente come ‘squalificato’ dalla società.
Yozo teme talmente tanto questa squalifica da essere umano e il fatto di esser ormai già condannato ad essa, che non riesce mai a ribattere, a giustificarsi e a discutere con gli altri quando necessario. Lui ritiene che gli esseri umani in realtà nascondono la loro vera natura, ritiene che nascondono la loro collera, e che, prima o poi, essa raggiungerà un limite, che porterà l’individuo a rivelare la sua vera umanità.
Yozo è spaventato, non si sente conforme, e se questo, secondo lui, è un requisito necessario alla sopravvivenza dell’essere umano, lui non ne è un esempio.
Considera l’umanità e la società orrenda e spaventosa per questa ragione.
Yozo, raccontando accadimenti passati, dimostra di aver paura nell’esternare le proprie vere emozioni, ritenendo impossibile andare contro un’opinione già imposta da un altro essere umano, agendo come pensa sarebbe meglio per gli altri.
Takeichi
(riflessioni relative all’incontro che Yozo ha con questo personaggio)
Quando Yozo augura il male a una persona, non augura la morte, in quanto considera essa una liberazione dal male, ma qualcos’altro.
Ed ecco perché quando dice di dover uccidere Takeichi, non lo dice perché effettivamente gli augura il male e la morte, ma solo perché è l’unico mezzo necessario per metterlo a tacere.
Quando Yozo parla del suo ‘vero io’ dice che neanche lui sa qual è, ma in qualche modo esso viene fuori nei suoi autoritratti. Lui però non lo mostra a nessuno per la paura di non essere riconosciuto (infatti è quello che accadrà).
Successivamente Yozo parla di una piaga della coscienza colpevole e dice che essa è comparsa sin da quando era piccolo, provocandogli strazi, ma che col tempo gli è diventata così cara (‘più cara della carne e del sangue’) che nel male che sentiva, ha riconosciuto l’emozione della piaga proprio per il fatto di esistere.
“Nel corso dell’esistenza ho auspicato innumerevoli volte che mi toccasse una morte violenta; ma neppure una volta sola ho avvertito il desiderio di uccidere qualcuno. Pensavo che uccidendo un avversario temuto, gli avrei dato senz’altro la felicità”.
Nota:
Ho scritto un testo più approfondito riguardo questo romanzo. Se può interessare a qualcuno, lo trovate sul mio account Instagram. @personaftersea
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