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LUCI FLUTTUANTI

Sofia Gaetani

Da bambina una scena di Rapunzel mi faceva paura. E no, non parlo della scena della morte di Madre Gothel, non mi faceva paura nel modo in cui da bambina avevo paura di Leone Cane Fifone. Era una paura diversa. Un altro tipo di paura, quella che ti entra nella testa e non se ne va via più. Quella scena mi fa ancora paura.


Rapunzel passa metà del film a cercare di realizzare il suo sogno, la sua intera esistenza, l'arco del suo personaggio gira intorno alla realizzazione del suo sogno. Lei vuole vedere le lanterne. 


E poi le lanterne le vede. 


È questo ciò che a me spaventa (e sono convinta di non essere nemmeno l'unica): la chiusura di qualcosa di grosso. Cosa succede se metti tutto il peso della tua vita sulla realizzazione di qualcosa e poi quel qualcosa si avvera? Cosa succede se vivi nell'ansia del futuro e ad una certa quel futuro diventa passato? 


Paradossalmente ho sempre preferito la catarsi di quei momenti in cui qualcosa di brutto succede, perché creavano in me la spinta di cercare di realizzare qualcosa di nuovo. Il realizzarsi di un desiderio è molto più terrificante. 


Sono arrivata ad un punto della mia vita in cui il Natale per me non è più il 25 dicembre, ma un giorno a caso, può essere il 18, può essere il 4, in cui sento che il Natale sta arrivando. In questo momento, l'attesa conta più del momento stesso. 


Probabilmente è dovuto al fatto che sono sempre vissuta - sin da bambina - nella mia testa, portandomi così a mettere la realtà in secondo piano. 


Ho un ricordo molto vivido di una Sofia di 10 anni che se ne andava da Disneyland piangendo, non perché le sarebbe mancato il posto, ma perché si chiudeva un capitolo importante della sua vita. Per tutta la mia esistenza avevo aspettato come Rapunzel le mie lanterne, e ad un tratto mi erano volate via di mano. Le avevo viste, ne avevo raccolta una tra le mie mani, e mi era volata via. 


Mi ricordo con molto piacere e molta nostalgia del periodo in cui aspettavo Disneyland, anche più di quando io effettivamente ci sia stata. Quello che è sempre contato per me è stato vivere attaccata a un sogno, l'euforia legata all'attesa di qualcosa. Il bel ricordo non è mai stato fatto di giostre e principesse Disney, bensì da un catalogo vecchio e stropicciato che sembrava aver patito le pene dell'inferno che si trovava nel mio bagno. 


Non so quanto faccia bene, in tutta onestà, vivere attaccati ai sogni o, ancora peggio, vivere solo nella propria testa. A volte costruisco grattacieli nella mia testa come se fossero pile jenga: basta un niente a buttare tutto giù perché le basi non funzionano. Ogni tanto mi chiedo se io faccia così in realtà solo perché ho paura della realtà: è molto più facile attaccarsi ad un'idea che conosciamo bene, perché nostra, che attaccarsi alla verità che mai potremo conoscere pienamente. 


Quello di cui però mi sono resa conto, con il passare del tempo, che ha placato la me bambina, è stato che la vita è piena di lanterne. Forse saremo condannati per sempre a desiderare senza mai vedere i nostri sogni realizzati. Io me lo auguro, penso che non ci sia niente di più bello.



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