“Quando non sottolineeremo più maschile e femminile avremo pareggiato” cit. Giorgia
L’11 febbraio inizierà uno dei Festival musicali più amati di tutta Italia: quello di Sanremo. Non mi è mai piaciuto, infatti l’ho sempre trovato un po’ barboso, ripetitivo e molto, ma molto lontano dai miei gusti. Poi nel 2021 hanno partecipato i Maneskin e ovviamente, da fan sfegatata qual ero, l’ho seguito con grande entusiasmo e adrenalina. Ho iniziato ad apprezzare sempre di più le nuove proposte di Amadeus e poco a poco ho iniziato ad adorare il format del Festival, nonostante alcune cose non mi andassero ancora a genio, ma di questo, ne parleremo ora…
Il nome “Sanremo” evoca un’idea di musica, cultura e passione, ma se ci si ferma a riflettere, c'è una domanda che aleggia inquietante sopra il palco dell’Ariston: ma le donne, davvero, sono considerate alla pari degli uomini? Se pensiamo che il Festival sia un trionfo della musica italiana in tutte le sue sfaccettature, bisogna purtroppo riconoscere che le sfaccettature femminili continuano a essere ignorate o, peggio ancora, distorte. Se ci si limita a guardare le facce sorridenti e le performance scintillanti, si potrebbe anche pensare che la parità sia finalmente raggiunta. Ma basta grattare la superficie per scoprire che sotto la brillantezza dorata del Festival si nasconde un’ombra lunga e persistente: quella della disparità di genere. E questo, più che mai, è evidente quando si parla di donne.
Che si tratti di numeri o di visibilità, la realtà è che la presenza femminile a Sanremo è più simbolica che reale. Parliamo di "nuove proposte" come se la musica fosse qualcosa da "proporre" e non da esprimere, e intanto, tra i "big", gli uomini continuano a dominare. Le statistiche non mentono: su 75 edizioni del Festival, le donne hanno vinto solo 14 volte. E se anche quelle 14 vittorie ci sono state, sono state più un’eccezione che una regola. Non è che manchino le talentuose, le potenzialmente vincenti, le icone femminili, ma Sanremo sembra aver deciso che, sì, possono esserci, ma solo se sono "adatte" al gioco. Come se, a meno di un travestimento, la musica femminile non potesse essere riconosciuta per quello che è: pura e disinibita.
Prendiamo Elodie, per esempio, che nel 2020 con "Andromeda" ha portato sul palco una delle performance più moderne e potenti. Ma, nonostante l’acclamazione del pubblico, è finita per essere giudicata più per il suo "look" e meno per la qualità musicale. Perché? Perché se una donna canta con passione e mette tutta se stessa sul palco, deve sembrare “pulita”, “composta”, “non troppo fuori dalle righe”. Se un uomo fa lo stesso, allora è un genio. Ma se lo fa una donna, è “esagerata”. Come se una donna non potesse essere veramente emotiva senza finire per essere considerata un "carattere troppo forte". Insomma, nella musica, come nella vita, esiste ancora il bisogno di mettere le donne in gabbia.
Le loro canzoni , a Sanremo, spesso non sono mai “giuste”. Se una donna porta una ballata d’amore, viene subito etichettata come "sentimentale", "romantica", con un tono che a fatica riesce a mascherare la supponenza di chi pensa che una donna non possa essere capace di emozionare con qualcosa che non sia il "dolce pianto". I critici non sembrano mai sforzarsi di capire se dietro una canzone d’amore ci sia un’autentica ricerca artistica, o se sia solo la riproposizione di un cliché. Ma quando lo stesso brano lo canta un uomo, ecco che si trasforma in un manifesto di universale bellezza. Gli uomini sono "poeti", le donne sono "romantiche". Se un uomo porta un brano che parla di solitudine, si fa un applauso. Se lo fa una donna, diventa una "lagna".
Per non parlare del fatto che, quando una donna osa non parlare d’amore, ma di temi più “scomodi”, come il corpo, la politica, la società, la critica, diventa nervosa, come se fosse scossa da un tremore imprevisto. Madame, nel 2021, ha portato una proposta musicale dal linguaggio diretto, ma è stata accolta con sospetto, quasi con un: “A che serve tutto questo?". Il messaggio era chiaro, il suo sguardo sulla società e sul mondo era netto e non diplomatico, ma piuttosto che esaltarla, è stata travolta da una tempesta di pregiudizi, come se non potesse esprimersi in maniera “dura” e “forte” senza essere accusata di "eccesso".
Parliamo di giurie, un altro terreno di battaglia per le donne a Sanremo. Non sono certo le giurie popolari che hanno il problema, sono quelle “autorevoli”, quelle che fanno i conti con i retaggi maschilisti di un sistema che ha sempre trattato la musica come una “cosa da uomini”. Le giurie a Sanremo, infatti, sono quasi sempre dominate da uomini, che, consciamente o inconsciamente, scelgono ciò che è più in linea con il loro immaginario. Quando una donna cerca di uscire dagli schemi, di portare qualcosa di più scomodo, viene spesso abbattuta. Basta guardare il caso di Arisa: una delle voci più incredibili della musica italiana, ma etichettata per anni come "la ragazza dalla voce delicata" anziché per la sua versatilità e profondità. Eppure, è proprio quella "delicatezza" che i giudici amano incasellare come limite, piuttosto che come punto di forza.
E allora, se ci fermiamo a riflettere sul Festival di Sanremo, possiamo anche chiederci: ma questa parità che si sbandiera tanto, davvero esiste? O è solo una maschera di facciata che serve a mascherare una realtà ben più cruda? La risposta è semplice e, purtroppo, dolorosa: no, non esiste. Le donne, purtroppo, continuano a essere protagoniste in una specie di teatro della "seconda classe", dove non importa quanto talento abbiano, non importa quanto siano preparate, devono sempre rispondere a un canone maschile per essere accettate. E se lo fanno, sono applaudite. Se non lo fanno, restano "fuori posto".
Io intanto vado a fare la mia squadra del "Fanta Sanremo" con Olly capitano, nella speranza di vedere una donna reggere il premio di vincitrice della settantacinquesima edizione di Sanremo.
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