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RAGAZZE, NON SIAMO OGGETTI

Matilde Manfredi

Giugno è ormai alle porte e la scuola sta per finire lasciando spazio all'estate, al divertimento e alle serate con gli amici. Ho dei ricordi bellissimi di ogni singola estate vissuta fino ad ora: le lunghe passeggiate in montagna (a volte fin troppo lunghe), l’alba al mare, i bagni infiniti, la salsedine tra i capelli, i pic-nic in montagna e i concerti che mi porterò sempre nel cuore, sguardi scambiati “per sbaglio” durante un ballo e pagine di libri lette al chiaro di luna.

I problemi però si presentano quando la prova costume inizia a diventare argomento di conversazione più o meno a metà maggio: “Adesso però basta, questo è l’ultimo cioccolatino, da domani dieta”, “Meglio che inizio a mangiare insalata e a fare sport, sennò quest'anno al mare faccio una figuraccia”. Noi donne siamo quasi abituate a sentirci a disagio nel nostro corpo, poiché cresciute sin da piccole con canoni di bellezza ben precisi e strutturati, e spesso e volentieri irraggiungibili.

All’età di quattro anni riceviamo la nostra prima Barbie e rimaniamo estasiate dal suo corpo snello, le sue gambe lunghe, dagli occhi azzurri e truccati, i capelli biondi e perfettamente curati e da tutti i suoi accessori rosa. Vediamo i primi film delle principesse, dove ai balli vengono vestite e strette in corsetti minuscoli per avere una vita perfetta e minuta.  

La cultura della bellezza è ossessionata dal corpo della donna. Le immagini di modelli, gli spot pubblicitari, i social media e anche i giocattoli ci bombardano con messaggi che ci dicono che il nostro corpo deve essere perfetto, snello e magro. Ma alla fine, cosa succede quando non riusciamo a raggiungere questi standard impossibili? Ci sentiamo in colpa, indegne e inferiori.

L'oggettificazione del corpo della donna è un fenomeno globale che coinvolge milioni di donne ogni giorno. Secondo una ricerca condotta dalla Fondazione per la salute delle donne, l'80% delle donne fra i 15 e i 25 anni ha già sperimentato il body shaming, ovvero l'insulto e la derisione del proprio corpo, almeno una volta nella vita. Questo tipo di comportamento può avere conseguenze devastanti sulla salute mentale e fisica delle donne.

La minaccia più grande è il legame che l'oggettificazione del corpo della donna ha con l'ideologia patriarcale. La donna è vista come un oggetto da consumare, un bene da acquistare o da possedere e il suo corpo è visto come una merce, un oggetto da controllare. Questo tipo di pensiero crea una cultura di oppressione e violenza contro le donne.

La ricerca dimostra che questo fenomeno può portare ad una maggiore probabilità di soffrire di depressione, ansia e disturbi alimentari. Inoltre, può anche aumentare il rischio di violenza sessuale e domestica. Le donne che sono oggettificate sono più esposte alle discriminazioni e alle violenze sessuali, perché il loro corpo è visto come un oggetto disponibile.

Inoltre, l'oggettificazione del corpo della donna può anche influire sulla percezione di noi stesse. Noi donne siamo costrette a comparare il nostro corpo con quello di altre donne, cercando di essere più belle, più snelle e più attraenti. Questo tipo di pensiero crea una cultura di competizione e di rivalità tra le donne, che può portare a una maggiore insicurezza e ad una minore fiducia in noi stesse.

Ma non dobbiamo arrenderci. Dobbiamo resistere alla cultura dell' oggettificazione del corpo della donna e lavorare per creare un mondo più giusto e più equo. Possiamo iniziare cambiando la nostra mentalità e smettendo di rendere una merce il corpo delle altre donne. Possiamo anche sostituire le immagini dei modelli di moda con quelle delle donne reali, con difetti e imperfezioni. Possiamo, inoltre, creare una cultura più accogliente e inclusiva, dove ogni donna possa sentirsi dignitosa e rispettata.

“Potete tutti giudicare il mio corpo quanto volete, ma alla fine si tratta solo del mio corpo. E lo adoro, lo amo e mi sento a mio agio nella mia pelle” cit. Simone Biles


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